Caro Direttore,
Vengo a sapere che l’ineffabile Walter Veltroni, nonostante si trovi fisicamente a New York, non parteciperà ad incontro alcuno con iscritti o militanti del Partito democratico residenti qui. Mah, sarà la memoria che mi inganna alla mia veneranda età, ma a me sembrava che questo partito avesse avuto proprio lui fra i fondatori.
Premetto di non essere mai stato un fervente sostenitore dell’ex ministro dei Beni Culturali. Anche quando ancora votavo PD con convinzione, il nostro non mi ha mai affascinato, con la sua troppa pacatezza, il suo ostentato fair-play e i suoi toni sommessi, quando l’atteggiamento appropriato sarebbe stato ben altro: mi pareva un giocatore di carte ostinato a rispettare le regole alla lettera, proprio mentre giocava contro un baro di professione che si vantava egli stesso della sua scorrettezza. Una partita del genere non poteva finire che in un modo. Chi pecora si fa, il lupo se la mangia: bastava affidarsi alla saggezza popolare per capire come sarebbero andate le cose. Ma nonostante questo, avrei comunque rispettato le sue scelte (fermo restando il giudizio di fondo: ci mancherebbe) se l’ex sindaco di Roma avesse avuto la coerenza di farle valere di fronte alla nostra assemblea. L’ha fatto con Travaglio, suo autentico spauracchio, quasi una sorta di nemico pubblico numero uno per ogni dirigente del PD “certificato” dal Politburo; perché non farlo anche con noi, che saremmo di certo stati una platea molto meno sarcastica e, forse, anche un pochino più affettuosa e comprensiva del giornalista, che pure io considero uno dei più lucidi e efficaci in assoluto?
Ci si può sbagliare, e in questi anni Veltroni ha certamente sbagliato, e parecchio. Verrebbe da chiedersi in che cosa non abbia errato l’ex-segretario, magari imbroccando una decisione azzeccata in un qualche momento di distrazione; tuttavia, fra gli iconici “principali esponenti dello schieramento avversario”, i vari Caleari capilista in regioni importanti, e gli inviti cocciuti e incessanti al dialogo con avversari che si erano sempre dimostrati scorretti e inaffidabili, non riesco proprio a tirar fuori un qualche ricordo di una decisione veltroniana che puntasse davvero al bene del partito o del Paese (salvo, forse, le sue dimissioni dalla segreteria del PD). Ciò detto, la coerenza e la correttezza, quantomeno personali, imporrebbero a chiunque di essere responsabile delle proprie scelte e di affrontare il giudizio della platea, qualunque esso sia: solo così si può crescere e si può migliorare. La continua ritrosia del Walter nazionale mi sembra invece che vada nella direzione opposta.
Che senso ha negarsi al confronto con gli iscritti e i militanti del proprio partito, per giunta residenti in un Paese straniero e lontano? Un politico degno di rispetto non dovrebbe essere egli stesso a cercare il contatto e il confronto? Di fronte a un gruppo di persone che dicono di voler bene al partito, nonostante siano immerse in una realtà completamente diversa e siano soggette più alle leggi che si fanno a Washington che di quelle che si dovrebbero fare a Roma, un Politico amante della sua professione dovrebbe cercare il dialogo, se non con entusiasmo (magari), almeno con interesse verso le loro idee e apertura alle loro domande e, perché no, alle loro critiche. Una frase mi ha particolarmente colpito durante il nostro ultimo incontro: il PD siamo noi. Gli iscritti, i militanti, gli elettori e anche chi, deluso e infuriato come chi scrive, si definisce “ex-elettore” del partito. Le ritrosie dei vertici fanno solo del male e dimostrano, dispiace dirlo, la loro inadeguatezza a quel ruolo, il loro eccessivo attaccamento agli onori e la speculare messa in ombra degli oneri, la loro piccolezza rispetto al disegno immaginato dai Padri Costituenti. E quando ci lamentiamo dell’inettitudine dei Cesàrii e dei Caleari, dobbiamo capire che è solo un pallido riflesso della pochezza di chi li ha scelti.
Se io commetto un errore nel mio lavoro quotidiano, e poi mi faccio in quattro per discutere con i miei superiori delle strategie per correggerlo, può anche darsi che possa fare una buona impressione su di loro. Ma se mi sottraggo al dialogo negando le mie responsabilità, farei bene a mandare curricula in giro, perché nella mia azienda avrei i giorni contati. Allo stesso modo noi elettori, troppo spesso, ci dimentichiamo che ha ragione Grillo quando dice che gli eletti sono i nostri dipendenti.
* Jacopo Coletto abita a New York dal 2006. Lavora come analista finanziario in una delle maggiori società di gestione del risparmio americane. Ha conseguito una laurea in Discipline Economiche e Sociali presso l’università Bocconi nel 2001 e un master in Ingegneria Finanziaria presso l’Università di California a Berkeley. Ha deciso di restare negli USA dopo aver constatato le migliori opportunità di lavoro disponibili. Frequenta il Circolo PD di New York