"Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgersi più di niente!". Ecco chi era Peppino Impastato. Giovane, coraggioso, lottava a fianco dei contadini a cui avevano espropriato le terre per costruire la terza pista dell’aeroporto di Palermo. Un rivoluzionario, perché quello in cui credeva avrebbe rivoluzionato la cultura siciliana. Quella mafiosa naturalmente. Impastato era un giornalista nato a Cinisi, impegnato nella lotta all’illegalità sino a morirne. Dai microfoni di Radio Aut, radio libera da lui fondata nel 1977, sbeffeggiava il potere del boss Gaetano Badalamenti, ironicamente soprannominato “Tano seduto”. La trasmissione satirica Onda pazza a Mafiopoli era seguitissima ogni venerdì sera. La sua irriverenza e la sua diversità – inconcepibile pensare, infatti, che il figlio-nipote-cognato di uomini d’onore potesse opporsi alle regole della Famiglia – saranno la causa della sentenza di morte pronunciata da Cosa nostra. Verrà assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978; l’omicidio seguirà il modus operandi usato in molte occasioni dalla mafia, per cui non bisogna solo uccidere il “rompicoglioni” di turno, ma occorre soprattutto distruggerne l’immagine. Col suo cadavere adagiato sui binari della ferrovia, sarà inscenato un attentato: Impastato carico di tritolo è vittima di se stesso, come gli anarchici che amano buttarsi dal balcone; il ribelle che aveva osato sproloquiare ed alzare la testa, deve sembrare un attentatore suicida. L’assassinio porta invece la firma di Badalamenti e la notizia della sua morte riuscirà a passare quasi inosservata dalla stampa perché avviene proprio nelle ore “calde” del ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La sua storia è stata ben raccontata nel film di Marco Tullio Giordana I cento passi, distanza che separava la casa di famiglia da quella del boss.
Lo scorso 25 luglio è stata inaugurata a Cinisi, in corso Umberto 220, la nuova Casa-Museo dedicata al mondo di Peppino Impastato. La casa paterna è stata trasformata in una struttura adatta ad accogliere i numerosi visitatori che ogni anno raggiungono il piccolo centro della provincia di Palermo, per conoscere i luoghi della sua esistenza. I lavori di ristrutturazione sono stati realizzati grazie al progetto Un ponte per la memoria, sostenuto da Fondazione con il Sud e diretto da Claudio La Camera, responsabile dell’Osservatorio sulla 'Ndrangheta di Reggio Calabria, che insieme a Giovanni Impastato, fratello di Peppino, ne ha curato l’allestimento.
All’interno, un punto accoglienza, un bookshop, un’area espositiva. Al primo piano della casa è stata ricostruita la sua stanza, con il letto e la coperta di lana fatta a mano dalla madre Felicia; i mobili anni Quaranta, costruiti dallo zio Matteo; la cassapanca, la macchina fotografica Zenit, la macchina per scrivere. Sul comodino, l’ultimo libro letto prima di morire, La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia. Un ambiente intimo in cui si trova anche il giradischi con gli album che amava ascoltare: Bob Dylan, Fabrizio De Andrè, Joan Baez, Luigi Tenco. La chitarra che non ha mai saputo suonare, ma faceva usare agli amici, il manifesto del famoso raduno musicale organizzato a Cinisi da Musica e Cultura nel 1977 sull'onda di Woodstock, la copia della tessera dell'ordine dei giornalisti, e su una parete, la laurea ad honorem in Filosofia rilasciata dall'Ateneo di Palermo nel 1998. Nello stesso piano è stata allestita la sala lettura con le vetrine in cui sono stati esposti tutti i libri che Impastato leggeva, tra cui quello con la copertina rossa che raccoglie le opere di Lenin, e La peste di Albert Camus; i documenti dell’attività di Radio Aut, i numeri del giornale L’idea socialista. In mostra oltre le poesie, l'agenda (nella foto qui sotto), le lettere e molto materiale inedito di Peppino, ci sono anche l’albero della memoria, un piccolo albero di arancio piantato di fronte la casa, dove i numerosi visitatori lasciano dediche ed oggetti; il murales dell’amico Pino Manzella ed alcune opere di Paolo Chirco, di Giacomo Randazzo e del noto pittore Gaetano Porcasi.
Abbiamo chiesto al fratello Giovanni quale fosse il significato della riapertura di questo spazio: “Casa memoria esiste dal 10 maggio 1978, cioè dal giorno successivo all’omicidio di Peppino, quando mia madre ha fatto la scelta importante di raccogliere l’eredità del figlio, di rompere con i parenti mafiosi e di avviare un percorso che oggi ci porta a salvare l’esempio di mio fratello. Dagli anni Sessanta quando sono iniziate le sue battaglie sociali, abbiamo scritto una pagina importante nella storia del movimento antimafia. Tra la casa Impastato e la casa di Gaetano Badalamenti – conclude Giovanni – abbiamo installato le “pietre dell’inciampo” realizzate dallo scultore Fabio Butera e dedicate a mia madre Felicia, ai giudici Falcone e Borsellino, ai numerosi compagni di Peppino scomparsi, ai rappresentanti delle Forze dell’ordine barbaramente uccisi dalla mafia: Boris Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, gli uomini delle scorte”.