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July 19, 2013
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Lo Stato, la mafia e l’ombra di Yalta

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Via D'Amelio poche ore dopo la strage del 1992

Via D'Amelio poche ore dopo la strage del 1992

Time: 5 mins read

Un dato è certo: ventuno anni dopo la strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini e le donne della sua scorta, la mafia è più forte di prima. E sono sempre saldi i collegamenti tra Cosa nostra e gli equilibri ‘disegnati’ a Yalta subito dopo la Seconda guerra mondiale.

Chi pensava che con la caduta del Muro di Berlino e con il crollo dell’ex ‘Impero Sovietico’ il mondo sarebbe cambiato, beh, dovrà rivedere i propri conti alla luce di due fatti: la sentenza di assoluzione degli ufficiali dei Carabinieri, Mario Mori e Mauro Obinu nel processo celebrato a Palermo, e il “sì” dell’Istituto superiore della sanità al Muos di Niscemi. Due vicenda apparentemente distanti ma, in realtà, legate da un dominatore comune: gli equilibri di Yalta.

Nella ‘lettura’ dei fatti i passaggi intermedi contano poco o nulla. Non è in discussione la buona fede dei magistrati che hanno assolto Mori e Obinu. Non sfuggono, però, né la cadenza temporale dell’assoluzione (annunciata un giorno prima dell’anniversario della strage di via D’Amelio), né le refluenze che tale assoluzione avrà sul processo in corso, sempre a Palermo, sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia dove l’uccisione di Paolo Borsellino, piaccia o no a qualcuno, va a incastonarsi.

Commentando quanto sta accadendo, Giuseppe Lo Bianco, il bravo collega de Il fatto quotidiano, rispondendo a una domanda di Rita Borsellino, ha detto: “Una parte dell'informazione di questo Paese ha deciso di diventare megafono della verità ufficiale. C'è stata una colossale operazione di mistificazione, prima mediatica e poi processuale, con le false rivelazioni del pentito Scarantino cui il pm Alfonso Sabella non diede alcuna credibilità. Perché a Caltanissetta all'inizio, sin dal 1992, quelle dichiarazioni non vennero dichiarate carta straccia? Inoltre sembra si voglia far passare il fatto che se lo Stato decide di trattare con la mafia non sia un fatto penalmente rilevante, per cui la magistratura non ha il compito di indagare su questo”.

In queste parole si condensa tutto quello che sta succedendo e che è successo negli anni passati attorno alla strage di via D’Amelio. Insomma, se i militari decidono di trattare con la mafia lo possono fare e non vanno perseguiti. E se non vanno perseguiti i militari che hanno trattato con i mafiosi, beh, non vanno perseguiti nemmeno i politici che, tramite i militari – o insieme a loro – trattavano con i mafiosi, magari per salvarsi la pelle.

Morale: il processo tra Stato e mafia è un’aporia giudiziaria, un vicolo cieco, una strada che non spunta: insomma è un fatto che “non sussiste”, per usare la formula giuridica della piena assoluzione.

Insomma, lo Stato italiano non ha alcuna intenzione di ‘condannarsi’. “Un giorno un giudice come me giudicò chi gli aveva dettato la legge: prima cambiarono il giudice, e subito dopo, la legge…”, recita una vecchia canzone di Fabrizio De Andrè tratta dall’album “Storia di un impiegato”.

Il probabile epilogo del processo sulla trattativa tra Stato e mafia sembra già scritto. Così come già scritto a tante mani sembra è la vicenda giudiziaria di via D’Amelio, Lo Bianco ricorda le “false dichiarazioni del pentito Scarantino”. Delle quali alcuni magistrati – e tra questi Alfonso Sabella – non sembravano molto convinti.

Eppure vennero prese per buone. Venne imbastito un processo. Vennero comminate condanne. Solo molti anni dopo si scoprirà il grande inghippo. Fatto di depistaggi e false rivelazioni.

Le rivelazioni sui depistaggi nelle indagini per la strage di via D’Amelio e i fatti venuti fuori nelle indagini sulla trattativa – o sulle trattative – tra Stato e mafia avevano fatto pensare alla fine di un’epoca: l’epoca sancita e ‘protetta’ con mille segreti dagli equilibri di Yalta.

Con la scoperta del depistaggio sulle indagini per la strage di via D’Amelio – dove troviamo, in ruoli chiave, ‘servitori irreprensibili’ dello Stato italiano – e con il processo sulla trattativa tra Stato e mafia sembrava che un altro muro fosse venuto giù.

Ma, a quanto pare, è soltanto una crepa. Profonda, certo. Tale da lasciare intravedere qualcosa di tremendo: ‘pezzi’ dello Stato che tramano contro altri uomini dello Stato. Stragi, morti e depistaggi. E’ stato un attimo, però. Subito la crepa si è richiusa.

Le intercettazioni telefoniche tra l’ex Ministro Nicola Mancino e il Quirinale non sono significative e vanno eliminate. Chi, nel 1992, ha trattato con Vito Ciancimino, che faceva da tramite tra i mafiosi e uomini delle forze dell’ordine, lo ha fatto nell’interesse dello Stato.

Del resto, in Italia, Paese di frontiera voluto da Yalta – non diviso a metà come la Germania, ma tenuto nell’Occidente industrializzato con il più forte Partito comunista europeo per garantire Stalin e con Gladio per garantire gli americani – non è mai stato facile capire dove finisce un’operazione di intelligence e dove inizia il favoreggiamento, se non la connivenza.

Allora la trattativa tra Stato e mafia è stata “a norma di legge”. La stragi di Capaci e di via D’Amelio? Incidenti di percorso. L’agenda rossa di Borsellino scomparsa? Distrazioni e divagazioni. I mancati arresti dei boss mafiosi? Questione di fortuna (in senso machiavellico). Le parole di Massimo, figlio di Vito Ciancimino, testimone digli incontri tra i padre, uomini dello Stato e uomini di Cosa nostra?  Vaneggiamenti. Il processo sulla trattativa tra Stato e mafia? Capitolo da chiudere.

Del resto, cos’è stato aperto dalla strage di Portella della Ginestra ad oggi? Nulla o quasi. Non gli archivi dello Stato italiano, ancora serrati. Nessuna verità sulle tante stragi che hanno costellato la storia della Repubblica italiana. L’Italia dei mille segreti resiste. La parola “omissis” sembra intramontabile. Tutte le porte si richiudono, come il Mar Rosso sull’esercito egiziano.

Si apre solo la base militare di Niscemi, nel cuore della Sicilia. Quella Sicilia che aveva qua e là le basi nascoste. O che riceveva a missili Cruise a Comiso. Oggi è Unione Europea, certo. Ma c’è spazio per tutti e per tutto nel’Isola misteriosa, che ad Agostino De Pretis, giunto in Sicilia al seguito dei Mille di Garibaldi, era sembrata “un Paradiso governato da Satana”.

C’è spazio per tutti, in Sicilia. Anche per il Muos. Anche per gli accordi di Yalta che sembravano un po’ demodé.

Non c’è spazio solo per la verità. Di questa condizione, in Sicilia impossibile, non dobbiamo nemmeno parlarne. A proposito di verità, quest’anno, alla commemorazione di via D’Amelio, le autorità non sono gradite. Era ora. Partecipazione solo a titolo personale. A rischio dei fischi. Dopo tutto quello che hanno combinato (e che continuano a combinare) le ‘autorità’ era il minimo.         

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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