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June 20, 2013
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Emanuela Orlandi: le chiavi del mistero in Vaticano?

Valter VecelliobyValter Vecellio
Emanuela Orlandi

Emanuela Orlandi

Time: 5 mins read

 

Sono trascorsi trent’anni da quel 22 giugno, quando Emanuela Orlandi, quindicenne figlia di un funzionario vaticano, scompare improvvisamente a piazza Sant’Apollinare nel cuore di Roma dopo essere stata a lezione di flauto. Da allora il nome di Emanuela è stato associato a uno dei grandi misteri irrisolti dell’Italia del dopoguerra. Il fratello della ragazza, Pietro, chiede da sempre che si appuri la verità sulla sorte della sorella; e per il 22 ha organizzato una marcia-veglia che partirà appunto da piazza Sant’Apollinare e si snoderà fino a Castel Sant’Angelo, “la strada”, spiega Pietro, “che faceva Emanuela per andare a casa, per chiedere giustizia e verità, un momento di preghiera e di riflessione: una veglia per chiedere risposte. Lì spero che papa Francesco si unisca a noi, sarebbe un gesto coraggioso”. Pietro Orlandi, lo ha rivelato lui stesso, il 17 marzo scorso, ha avuto un breve scambio di parole con papa Francesco, nei giorni immediatamente successivi alla sua elezione, quando celebrò una messa nella Chiesa di Sant’Anna situata all’interno del Vaticano. “Lei sta in cielo. È questa la frase che papa Francesco ha detto prima a mia madre e poi a me quando, come tanti altri fedeli, lo abbiamo incontrato dopo la messa: parole che mi hanno fatto gelare il sangue”.

Lo si può capire. Ma che ne sa questo papa Francesco, venuto “quasi dalla fine del mondo”, di Emanuela Orlandi? Come fa a dire con tanta sicurezza che Emanuela “sta in cielo”? Ad ogni modo, fino ad ora il Vaticano non ha smentito Pietro Orlandi. 

E’ una storia oscura, misteriosa, quella che vede per protagonista Emanuela Orlandi. Qualche giorno dopo la sua scomparsa si mette in moto quella che, almeno in apparenza, è una trattativa clamorosa. La libertà della ragazza in cambio dell’estradizione di Alì Agca, il killer turco che due anni prima aveva sparato a papa Karol Wojtyla in piazza San Pietro. Gli atti giudiziari poi assodano che quella delle trattative e dello scambio è una “bufala”, una messa in scena. Lo prova, del resto, il fatto che Agca è stato estradato in Turchia; ed Emanuela non è tornata a casa.

Leggiamoli gli atti giudiziari. Per quella scomparsa, per esempio, non sono indiziati complici di Agca o agenti di servizi segreti dell’Est o dell’Ovest. No, a essere indiziato è solo un alto dirigente della sicurezza della Città del Vaticano; e si legge che Città del Vaticano ha ripetutamente rifiutato di collaborare con gli investigatori. Perché questo rifiuto? E perché viene indiziato quell’alto dirigente della sorveglianza?

Agli atti dell’inchiesta c’è una intercettazione telefonica, del 12 ottobre 1983: da una parte c’è il sovrastante maggiore della Vigilanza vaticana Raoul Bonarelli, dall’altra un interlocutore chiamato “Capo”:

Bonarelli: “Pronto?”.

Uomo: “Raoul!”.

Bonarelli: “Sì!”.

Uomo: “Adesso ti passo il capo, eh!”.

Bonarelli: “Sì!”.

Capo: “Pronto!”.

Bonarelli:”Sì, dica…”.

Capo: “Che sai di Orlandi? Niente!…Noi non sappiamo niente!…Sappiamo dai giornali, dalle notizie che sono state portate fuori!…Del fatto che è venuto fuori di competenza…dell’ordine italiano”.

Bonarelli: “Ah, così devo dire?”.

Capo: “Ebbé, eh…Che ne sappiamo noi? Se tu dici: “Io non ho mai indagato”…L’Ufficio ha indagato all’interno…questa è una cosa che è andata poi…Non dirlo che è andato alla Segreteria di Stato”.

Bonarelli: “No, no…Noi…io all’interno non devo dire niente…Niente…”.

Capo: “All’esterno però…quando…che è stata la magistratura vaticana…se ne interessa la magistratura vaticana…tra di loro questo qua…Niente dici, quello che sai te niente!”.

Bonarelli: “Cioè se mi dicono però se sono dipendente vaticano, che mansioni svolgo, non lo so, mi dovranno identificare, lo sapranno chi sono…”.

Capo: “Eh, sapranno, perché…che fai, fai servizio e turni e sicurezza della Città del Vaticano, tutto qua”.

Bonarelli: “Eh…va bene, allora domani mattina vado a fare questa testimonianza, poi vengo, vero?”.

Capo: “Poi vieni, sì, sì”.

Bonarelli: “Eh!”.

Capo: “Sì, sì”.

Bonarelli: “Va bene”.

Capo: “Va bene, ciao”.

Da questa conversazione emergono alcune cose importanti: a) Sul caso Orlandi Città del Vaticano aveva istruito un’inchiesta “riservata”, il cui esito è stato consegnato alla Segreteria di Stato; b) La Vigilanza vaticana tace quello che sa agli investigatori italiani.

Bonarelli viene poi indiziato del reato di sequestro di persona e la sua posizione stralciata dall’inchiesta che il giudice Adele Rando conclude il 19 dicembre 1997, e che approda a due conclusioni: che accostare la scomparsa di Emanuela Orlandi a quella, precedente, di Mirella Gregari è “arbitrario e quindi strumentale”. Che il movente politico-terroristico da qualcuno adombrato, è “un’abile operazione di dissimulazione dell’effettivo movente del rapimento di Emanuela Orlandi… movente probabilmente destinato a rimanere sconosciuto”; e, par di capire, tutto interno al Vaticano.

Settimane fa, un personaggio che racconta storie che sembrano tratte da una spy-story di infima categoria, ha fatto ritrovare un flauto, sotto una piastrella di via crucis, avvolto in una vecchia pagina di giornale. Era quello di Emanuela? Non lo si può sapere, gli esperti della scientifica hanno constatato che dopo tutto questo tempo i residui biologici ancora presenti sullo strumento non possono essere comparati con il dna di Emanuela perché troppo logorati. Così, ogni ipotesi è buona, compresa quella che il caso Orlandi sia utilizzato come mezzo per mandare messaggi traversali, esercitare pressioni o minacce, tale è la sua potenza simbolica e la portata del “segreto” che si trascina dietro.

Non mancano poi congetture, che forse non sono solo congetture; sospetti che forse non sono solo sospetti: la ragazza vittima di un giro legato allo sfruttamento sessuale da parte di alte personalità del Vaticano o vicine ad esso. Vaticano che non ha mai risposto alle numerose rogatorie degli investigatori italiani; e non ha mai concretamente collaborato per accertare come si sono svolti i fatti. Alla luce di tutto ciò acquista un preciso significato, l’appello alle coscienze e a squarciare la verità: un’oscura vicenda che verosimilmente conduce in Vaticano…

 

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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