Alla fine Antonio Ingroia ha deciso di lasciare la magistratura per passare alla politica in servizio permanente ed effettivo. In un’intervista a Repubblica ha detto: «È stata la decisione più sofferta dei miei 54 anni». E ha spiegato che «per mesi» si è sentito «un uomo e un magistrato solo» ma non ha «mai smesso di difendere la Costituzione e di cercare la verità su chi, e soprattutto perché» ha ucciso «il suo maestro Paolo Borsellino».
Ingroia, protagonista di un feroce braccio di ferro con il Csm che lo aveva trasferito alla procura di Aosta dopo il fallimento dell’avventura elettorale del suo partito Rivoluzione Civile alle scorse politiche, ha fatto sapere di aver preso la decisione di lasciare «a malincuore» ma, sottolinea, «non ci sono più le condizioni perché tenga ancora indosso» la toga. «Sono così affezionato a questa toga – dice – che sarei rimasto in magistratura se mi fosse stata data la possibilità di mettere a frutto la mia esperienza ventennale di pm antimafia in Sicilia. Ma c’è chi non vuole, il Csm in testa».
Al Consiglio superiore della magistratura e all’Associazione nazionale magistrati l’ex procuratore aggiunto di Palermo riserva attacchi molto duri. «Negli ultimi anni è cresciuto dentro di me il senso di estraneità rispetto alle logiche “politiche” del Csm e alle timidezze e all’ingenerosità dell’Anm nel difendere i magistrati più esposti della procura di Palermo». Per questo la decisione del trasferimento ad Aosta è stata per Ingroia «una scelta punitiva con motivazioni politiche». E conclude dicendosi convinto che «la magistratura, nelle condizioni in cui si trova, non possa fare grossi passi avanti se non cambia la politica».
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