L’inferno scoppia pochi minuti dopo l’una del mattino del 27 maggio, 1993. Ed è proprio un inferno, un tremendo boato che si sente in tutta la città, il centro storico di Firenze ne viene sconvolto. L’esplosione distrugge la Torre dei Pulci, sede dell'Accademia dei Georgofili. Sotto le sue macerie muoiono la custode dell'Accademia, Angelamaria Nencioni, il marito e le due figliolette: Nadia che ha nove anni, e Caterina, 50 giorni appena. Muore anche uno studente, Dario Capolicchio, mentre una quarantina di persone sono ferite. Subiscono gravi danni molti edifici storici della zona, la stessa vicina Galleria degli Uffizi viene devastata: 200 tele sfregiate, preziosi dipinti di Gherardo delle Notti e Bartolomei Manfredi distrutte per sempre.
Si capisce quasi subito che non è una fatalità, non è lo scoppio di una bombola o una fuga di gas, come qualcuno inizialmente ipotizza. Si capisce quasi subito che è un attentato: le tracce dell’esplosione “parlano”. Poi trovano anche il cratere provocato dalla bomba. Bomba, perché è una bomba: una micidiale miscela esplosiva preparata da chi ci sa fare in queste cose, un alto potenziale, che ha lo scopo di distruggere, collocata all’interno di una vettura.
I processi accertano che i mandanti e gli autori materiali della strage sono i mafiosi di Totò Riina; con questo e altri attentati a Roma e Milano che verranno, vogliono costringere lo Stato a scendere a patti, ad allentare la pressione e il fiato sul collo che sentono dopo gli attentati che sono costati la vita a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino. “Ucciso un poliziotto o un magistrato, vengono sostituiti, ma distrutta la torre di Pisa per lo Stato il danno è incalcolabile”. Così pensa Riina, così ragionano i mafiosi. Si comincia appunto a Firenze.
Giovanna Maggiani Chelli è la presidente dell’Associazione vittime dei Georgofili. Vent’anni dalla strage, si è fatta completa luce, si è accertata la verità su quella strage?
“Si è capito tutto fin dai primi processi. Restano però cose da sapere. Hanno parlato molti mafiosi, una sessantina di collaboratori di giustizia hanno raccontato quello che sapevano. Non collaborano però quegli uomini dello Stato che sicuramente sanno, che qualcosa coprono, per una recondita ragione di stato. Se quelli non si decidono a collaborare, noi non ne sapremo di più di quanto non ne sappiamo oggi”.
Qual è la sua verità su quella strage?
“Il Paese è stato abituato a credere che la verità sulle stragi sia sempre stata tutta da una parte: i buoni e i cattivi ben definiti, da una parte lo Stato e dall’altra la mafia. Purtroppo non è così le stragi sono sempre trasversali, perché in gioco ci sono interessi economici troppo alti e i soldi non hanno colore".