Enrico Letta all’attacco. All’attacco di tutto ciò che è convenzionale, “facile”, “comodo”. Martedì 21 maggio 2013 passerà forse alla Storia, e questo lo si dovrà al Presidente del Consiglio italiano. Lo si dovrà al pensiero da lui espresso in un discorso al Senato della Repubblica: “L’Unione Europea non sia una gabbia, ma un aiuto alla crescita”. Parole chiare, lapidarie (lo richiede la drammatica situazione sociale ed economica italiana). Ancor più efficace il Primo Ministro nel successivo ‘affondo’ che riportiamo con parole nostre: i vincoli, le procedure della UE soffocano i cittadini, soffocano le famiglie.
A proporsi in questi termini stavolta non è “il matto” che improvvisa “comizi” al caffè o sull’autobus, non è l’eccentrico che si sente – ed è – incompreso in questo Paese in cui non si sa più che cos’è l’eccentricità, poiché classe e sano anticonformismo sono quasi del tutto scomparsi nelle nostre contrade abitate da gente delusa, impaurita, angosciata, stritolata da una morsa fiscale iniqua, sissignori, iniqua. Stavolta, no, non è “il solito” bastian contrario ad attribuire alla UE colpe, gravi colpe, delle quali questa perniciosa oligarchia dovrebbe essere chiamata a rispondere. Stavolta, appunto, a prendere di petto l’Unione Europa è Enrico Letta; è un uomo quadrato, posato, preparato. Un uomo di mondo che parla e scrive in un Francese impeccabile. Un disinvolto, un elegante in mezzo a “tromboni” vestiti a festa, a ciarlieri, a superficiali che superficiali però non sono quando c’è da conservare il potere, la ricchezza materiale, i privilegi… Gli “ameni” che, fra una “battuta” e l’altra, possono per proprio tornaconto decretare la fine d’una persona, la fine d’una carriera. Dice: ma sono così “alla mano”. Questo è il dramma. Questa è la finzione italiana dei nostri tempi.
Enrico Letta “alla mano” non è. Meno male! E’ cortese, è rispettoso, lo si nota subito. Dà anche l’impressione d’essere un buono. Prevaricatore di certo non è. Preferisce ricorrere alla propria capacità di persuasione. Ma non ci si illuda di guadagnarne i favori, la stima, l’ammirazione, mettendoci a fare i buontemponi, i pittoreschi, gli ameni, appunto. Dietro la sua asciutta affabilità c’è rigore, c’è un temperamento secondo noi “antico”: quello dell’uomo esigente con se stesso, prima che con gli altri.
Enrico Letta quindi ha il coraggio di porre in discussione metodi, indirizzi, orientamenti dell’Unione Europea. In Italia il Presidente del Consiglio parla tuttavia ai sordi, agli amanti della “opinione comune”, ai pigri mente; che sono parecchi e detengono un potere spropositato, ingiustificato. Ma forse trova il giusto ascolto al di fuori dei confini nazionali. Forse trova ascolto a Berlino e a Parigi; più a Berlino che a Parigi. Si ha l’impressione che il Cancelliere tedesco Merkel stia per cambiare un po’ registro e che fra la “signora di ferro” in edizione germanica e il Presidente del Consiglio una certa sintonia si sia stabilita. Letta probabilmente ha preso il toro per le corna sapendo d’avere le spalle coperte. Questa si chiama avvedutezza.
L’Unione Europea è avvertita.