Christian ha 16 anni, è nato a Roma, da genitori moldavi che vivono in Italia da quasi dieci anni. E ci lavorano, alla luce del sole, da giardiniere e collaboratrice domestica, pagando lealmente le tasse. Cristian parla italiano. Ma senza quell’accento forte e buffo della periferia romana. Un italiano pulito. Usa il congiuntivo meglio di molti suoi coetanei. Meglio di tanti adulti italiani che pure le scuole dell’obbligo le hanno completate. Meglio di tanti calciatori italiani, i suoi idoli della domenica. Christian non parla e conosce poco la lingua di chi lo ha messo al mondo, dei suoi genitori. Ora Christian va al ginnasio in un liceo classico della capitale. Lo stesso che ho frequentato io. Ascolta la musica italiana, mangia italiano, legge italiano. Ogni tanto, come tutti gli adoloscenti, scrive anche poesie. In italiano. Christian frequenta una ragazza italiana. Si chiama Giulia. Insieme a Giulia, ed a tanti altri studenti, Christian ha occupato la sua scuola lo scorso ottobre. Le classiche proteste autunnali contro i governi di turno, fenomeno, anche questo, così tanto italiano.
Ad oggi, Christian non ha una carta d’identità. Perché, “ovviamente”, non è italiano. Lo sarà, se vuole, a 18 anni. Come Mario Balotelli. E perchè lo diventi, è necessario che mamma e papà abbiano vissuto in Italia, senza interruzione, per tutti i 18 anni di Christian. I genitori possono invece diventare italiani dopo il decimo anno di permanenza ininterrotta. Poi ancora tre anni di procedure e scadenze da rispettare. File ed attese in corrodoi affollati. Sempre che non abbiano cambiato domicilio. Perchè se, per una volta, il vigile urbano non ti trova all’indirizzo indicato, può contestarti l’assenza dall’Italia. Succede anche questo. Spesso. Regole e leggi tra le più restrittive e antiquate di tutta l’Unione Europea.
Nabil, Sofia, Mohammed, e Issa sono come Christian. Hanno genitori, rispettivamente, tunisini, egiziani, somali ed etiopi. Come loro ci sono altri 420mila minori nati in Italia, da immigrati residenti. Minori che popolano o popoleranno le scuole italiane. Accanto a loro, poi, ce ne sono altri 600mila, non nati in Italia. Per un numero complessivo di 1 milione di minori. Un quarto dei 4 milioni complessivi di immigrati regolari. Molti di questi non sono cittadini. Ma sono spesso già integrati. E legati, con sentimenti ed affetti, all’italianità. Alla cultura italiana. Al nostro modo di vita. Al nostro modo di essere. Tantissimi che, come i genitori di Christian, pagano le tasse. E che si son costruiti la loro integrazione dal basso, in assenza di leggi. E in presenza di un vuoto giuridico che faremmo meglio a chiamare inciviltà.
In questi giorni, la politica sembra essersi svegliata. Ci voleva la nomina di Cecile Kyenge di origine congolese a ministro per l’integrazione, per rilanciare, finalmente, il dibattito. Diverse proposte di legge sono state presentate in parlamento per affrontare la questione. Alcune tra queste legano l’aquisizione della cittadinanza ad alcuni passaggi educativi essenziali, come l’iscrizione alla scuola dell’obbligo o il completamento delle scuole elementari. Escludendo cioè ogni automatica acquisizione di cittadinanza alla nascita in Italia.
In questo risveglio, non è mancato, purtroppo, il solito rozzo coro leghista che, nella più poetica delle reazioni, ha dato del “nero di seppia” alla neo-ministra. Sintetizzando così, tra una scorretta citazione di Montale ed un tipico rutto padano, il suo pensiero da bar sport, massima espressione della riflessione politica che popola il carroccio. Nè sono mancati toni simili, come quelli usati dai gruppi del folclore neo-fascista. Qualche falco del PDL, nostalgico dell’italianità dura e pura (quale?), ovviamente ex-missino, ha minacciato addirittura la tenuta del governo Letta. “La legge sulla cittadinanza non è una priorità”, ha tuonato, con la consueta lucidità, l’ex ministro Gasparri. La priorità, invece, si chiama inchiodare il dibattito politico del Paese sull’IMU. La tassa che molti milionari – cittadini! – potrebbero permettersi di pagare senza troppi sforzi. Nel movimento di Beppe Grillo, per ora, pare, tutto tace. Eppure qualche cazzata in materia, tempo fa, l’aveva detta anche lui, quasi in sintonia con Gasparri (M5S+PDL): “La cittadinanza a chi nasce in Italia anche se i genitori non la dispongono è senza senso…o meglio un senso lo ha…distrarre gli italiani dai veri problemi, (23 gennaio 2012).
Non è un problema quello di oltre 400mila minori nati in Italia e che rimangono senza diritti per ben 18 anni? Non è un problema quello di un Paese popolato da milioni di non-cittadini, regolari e residenti, in gran parte integrati e ormai radicati nel paese con figli e famiglie, costretti a rispettare la regola trappola dei dieci anni? I problemi sono altri? Certo, è uno dei tanti. Ma maledettamente concreto. Che ha che fare con la vita, i diritti e gli affetti delle persone. E con il triste futuro di un Paese a crescita zero. Che non può non dirsi Cristiano…
P.S Se la politica, aldlilà dei rigurgiti leghisti e fascistoidi, sembra essersi svegliata, la stampa, rimane un po’ dormiente. Chi scrive è rimasto un po’ indignato da quanto scritto, qualche giorno fa dal “fustigatore della casta”, Gian Antonio Stella. Con l’articolo “Le inutile forzature” (Cor.Sera, 7 Maggio), Stella ha criticato l’ “euforica loquacità del ministro” Kyenge, colpevole di avere espresso genericamente la sua preferenza per un passaggio completo allo ius soli, lasciando quasi intuire la sua inclinazione verso il modello americano di acquisizione automatica di cittadinanza alla nascita (Quello che Camera a Sud predilige). La ministra – prosegue Stella – con la sua uscita “spiccia e vaga” avrebbe alimentato “inquietudini e ostilità”. Ed è stata così invitata a “stare alla larga da ambiguità che eccitano le risse e non favoriscono il dialogo”. Parole inutili, pensiamo. Figlie di un altrettanto inutile esercizio di saccente moderatismo. Il primo ministro italiano di origine africane avrebbe meritato ben altro. Forse una difesa senza se e senza ma dalla valanga di insulti razzisti ricevuti sarebbe stata più appropriata. Soprattuto ora. Ovvero nelle fasi preliminari di un dibattito che, si auspica, porterà all’adozione di una nuova legge sulla cittadinanza. Da troppo tempo attesa.