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Galletto: “Il Paese deve pensare a una politica industriale assente da 30 anni”

Il candidato alla Camera del Partito Democratico risponde alle nostre domande

La Voce di New YorkbyLa Voce di New York
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Gianluca Galletto

Time: 5 mins read

Giacomo Gianluca Galletto, 52 anni, vive e lavora a New York da trent’anni. Laureato in Economia alla Bocconi, ha compiuto i primi passi nel mondo del lavoro a Bruxelles alla Commissione Europea. Arriva negli Usa con la borsa di studio Fulbright, poi un master a Yale in Economia Internazionale e poco dopo  un lavoro a Wall Street. Ma la finanza non è l’ambiente che predilige e l’occasione per cambiare arriva quando Bill de Blasio gli chiede nel 2011, di far parte del comitato finanziario della sua campagna. Da lì inizia una esperienza che gli cambierà la vita e lo porterà ai vertici della pubblica amministrazione di New York. Si innamora dell’attivita di governo per lo sviluppo economico e soprattutto dell’innovazione urbana. Prima capo del commercio estero di NYC a sostegno delle strategie sostegno ai settori del futuro, e poi al fianco del Ceo della New York City Housing Authority, una struttura gigantesca di 2300 edifici, che crea, ristruttura e gestisce alloggi popolari e che è all’avanguardia nel mondo. “È l’esperienza lavorativa che mi ha arricchito di più. Nel pubblico guadagno un terzo di quanto guadagnavo in finanza ma sono molto più felice”, ama ricordare Galletto, che ha messo energia e passione in una struttura che dà alloggio a 450 mila inquilini disagiati.

Da sempre progressista e a favore della giustizia sociale, Galletto è stato il fondatore dell’Ukivo USA e poi del Partito democratico a New York e nel resto degli USA, e per gli italiani del PD che arrivano in questo paese,  sindaci e ministri, è un punto di riferimento. Lotta contro il cambiamento climatico, contro le diseguaglianze, battaglie per i diritti civili e per gli investimenti in tecnologie sono i punti sui quale batte da sempre e che ricorda nella campagna elettorale. Il suo cuore è naturalmente per la comunità degli Italiani d’America, del Nord e del Centro, in cui è attivo da oltre 20 anni, senza dimenticare la sua Puglia. L’obiettivo è dare una mano all’Italia ma fare in modo che l’Italia dia una mano ai suoi compatrioti lontani. Risolvendo concretamente i problemi, da manager.

Qual è secondo voi il problema più urgente per l’Italia e cosa proporreste per risolverlo?

“L’Italia e l’Europa stanno pagando un prezzo molto alto alla guerra. L’inflazione ad agosto è salita all’8,4 per cento, il prezzo dell’energia è schizzato verso l’alto. Ci sono rischi grossi per i ceti più deboli e più poveri che subiscono di più il rincaro di genere alimentari ed energia. E anche per l’intero sistema economico che dipende dal gas. Il governo, dove il Pd ha fatto da asse di supporto all’azione di Draghi, ha stanziato solo quest’anno 50 mld di euro per attenuare gli effetti del caro energia e altri stanziamenti saranno necessari già dai prossimi giorni per attutire il colpo della crisi. In particolare bisognerà agire sulle buste-paga con il cosiddetto cuneo fiscale. Servono risorse perché il debito italiano è alto: quindi ci vuole credibilità sui mercati e spinta allo sviluppo. Solo così ce la potremo fare. Il paese deve pensare a lungo termine con una politica industriale, assente da 30 anni, fondata su innovazione, sostegno ai settori del futuro e rigenerazione urbana. Così che torni a crescere, in modo che il rapporto debito/Pil migliori. Finora ci siamo solo occupati solo occupati di spesa e entrare fiscali”. 

Il governo Draghi è stato un grande alleato degli Usa. Che posizione dovrà tenere l’Italia nella prossima legislatura rispetto a Washington e nei confronti della guerra in Ucraina. 

“Draghi, che sarà a New York per partecipare all’assemblea dell’Onu, ha condotto con equilibrio e determinazione la difficile fase della guerra. L’Italia non si è sottratta ai doveri dell’Allenza Atlantica e al dovere morale di aiutare un popolo come quello Ucraino aggredito da Putin. L’Italia deve continuare su questa linea continuando a perseguire ogni strada, all’interno dell’Europa, per approdare ad una via diplomatica e arrivare alla pace. Il problema sarebbe la vittoria del centrodestra dove il putinismo è forte e le scelte ‘atlantiche’ della Meloni sono appena sbocciate e poco solide”.

Le regole e le modalità del voto degli italiani all’estero vi soddisfano o il sistema deve essere riformato.

“Qui bisogna essere molto chiari: il voto dell’italiano all’estero non deve essere un voto di serie B. Dunque bisogna cominciare a riformarlo, perché le modalità sono cartacee e preistoriche. Bisogna passare all’elettronica anche per combattere brogli e manipolazioni del voto”. 

Pensate che l’istituzione del Comitato degli italiani all’Estero abbia bisogno di essere riformato per servire i cittadini in maniera efficiente?

“Oggi tutto deve essere riformato: per definizione la rivoluzione tecnologica ci porta ad adottare punti di vista e modalità nuove ed efficienti. Io amo la comunità degli Italiani d’America, sto qui da trent’anni, mi sento di Grottaglie quanto newyorkese, ho lavorato a fianco di De Blasio nell’housing di NYC e so cosa vuol dire servire l’amministrazione pubblica negli Usa. I comites così come sono rappresentano pochissime persone  e col budget e “poteri” che hanno possono fare pochissimo. Dobbiamo batterci per introdurre una narrazione accurata degli italiani all’estero ai nostri concittadini in Patria. Non riusciremo mai ad ottenere gran ché (finora cosa abbiamo ottenuto?) se in Italia non conosce la storia della nostra emigrazione e delle comunità odierne. Nessun leader spenderà mai capitale politico per qualcosa che agli italiani in Italia non interessa perché la ignorano. Non dimentichiamo il problema dell’insegnamento della lingua italiana e quello dell’Imu sulla prima casa in Italia. Non siamo una potenza globale e non abbiamo bisogno di grandi spese di politica estera ma siamo una superpotenza culturale: investiamo di più sulla nostra cultura, strumento potentissimo  di soft power con ritorni economici”.

Quali sono le vostre difficoltà in questa campagna elettorale. Oltre alla Voce di New York ci sono state altre realtà istituzionali o private che hanno creato occasioni per farvi conoscere dai cittadini iscritti all’Aire.

“La Voce va ringraziata per la sua azione giornalistica in questa campagna elettorale. La prima difficoltà sta nel fatto che il territorio coperto è assurdamente grande ed è difficilissimo farsi conoscere. Il che rende le decisioni di voto aleatorie e favorisce l’astensione. Viene meno il processo di “deliberation”, l’analisi delle proposte, uno dei cardini di una democrazia liberale o poliarchia secondo Dahl). Stavolta i tempi sono brevissimi, e questo aggiunge benzina sul fuoco. Bisogna fare in modo che gli iscritti all’Aire siano raggiungibili attraverso email o social, altrimenti ci troviamo a spedire volantini a decine di migliaia di elettori, favorendo chi ha più soldi. La nostra è una grande comunità che sta cambiando: c’è la vecchia immigrazione che ha sudato sangue per lavorare ed avere diritto ad una vita dignitosa, ma oggi ci sono ragazzi che arrivano qui con un inglese perfetto e due master. Entrambe sono Italia. Noi siamo Italia. E i loro interessi sono gli stessi o complementari. Bisogna aggiornarsi e guardare contemporaneamente alle due sponde dell’Atlantico”.

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