Lunedì 22 agosto è il termine ultimo per presentare le liste dei candidati – sia nei collegi proporzionali che maggioritari – per le elezioni politiche. Nel centro destra, Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia più formazioni minori – sembra regnare la calma e la concordia. Nel centro sinistra frasi forti, sberleffi e ironie più o meno eleganti sono ancora i binari su cui cammina la discussione.
Tutto è ancora in alto mare. Forse vedremo nascere una alleanza che intorno al Partito Democratico riunisce partiti e partitini più a sinistra e più a destra. Ma forse tutto questo non avverrà perché veti e contro veti, altolà su candidati tengono ancora alta la discussione.
Chi sta puntando i piedi più di tutti è Carlo Calenda, numero uno di Azione, ex ministro, ego ipertrofico e idea fissa di essere in grado di sfilare una montagna di voti al centro destra. Tanto è vero che ha accolto a braccia aperte due transfughe di Forza Italia, Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini. I sondaggi lo accreditano, insieme all’alleato di +Europa (Emma Bonino e Benedetto della Vedova) di un 6 per cento, ma Calenda si dice convinto di sfondare facilmente il muro del 10 per cento e di arrivare nelle grandi città al 20 per cento.
Così, Calenda dice no ai candidati di sinistra e agli ex 5Stelle capeggiati dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, o meglio dice al Partito Democratico se li volete metteteli nelle vostre liste e date a me quei posti. Calenda è fatto così, ritiene di avere sempre ragione, è bravissimo a farsi eleggere con i voti degli altri partiti (è nel Parlamento Europeo grazie ai voti del Pd) e poi continua per la sua strada. Adesso punta i piedi per ottenere più candidati e seggi sicuri, quando nella partita nazionale il centro-centro sinistra come coalizione è accreditato di un risultato che balla intorno al 33 per cento mentre il centro destra sfiora il 46 per cento.

ANSA/FABIO FRUSTACI
Questa può essere la fotografia reale che vedremo all’apertura delle urne dopo il 25 settembre. Ma potrebbero esserci sorprese: un’analisi del Centro Cattaneo ha messo in evidenza che ci sono una cinquantina di seggi del maggioritario che sono contendibili da entrambi gli schieramenti. Questo significa che saranno i messaggi della campagna elettorale e i nomi presenti in quei collegi a poter fare la differenza. Dunque la previsione del 46 a 33 potrebbe rivelarsi non veritiera.
Se nel centro sinistra è in discussione ancora il modo di presentarsi e di programmi si parla in modo generico evocando l’agenda che aveva il governo di Mario Draghi prima di essere sfiduciato dai capricci del capo dei 5Stelle Giuseppe Conte, furbescamente utilizzati da Lega e Forza Italia per dare la spallata finale al governo in carica, nel centro destra sembra regnare la concordia essendo stato facilmente raggiunto l’accordo sulla divisione dei seggi. Ma anche nel centro destra ognuno va per suo conto quanto a programmi.
Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia, ha come obiettivo immediato quella di farsi accettare: dunque fa grandi proclami di fedeltà all’alleanza atlantica e alla Nato, si schiera senza se o ma al fianco dell’Ucraina contro la Russia e sogna di guidare il prossimo governo di centro destra o di essere comunque lei a scegliere il presidente del consiglio.

Forza Italia e Lega invece sono subito partiti a testa bassa con promesse mirabolanti. Matteo Salvini vuole la flat tax confermata per i lavoratori autonomi e in aggiunta anche per i lavoratori dipendenti, la pace fiscale, la cancellazione della legge Fornero che stabilisce i requisiti di età per andare in pensione e, ovviamente, nuovi decreti sicurezza in funzione anti immigrazione: tutte cose che vuole senza dire dove prenderà i miliardi di euro necessari. Quindi non si fa fatica a immaginare che pensi a fare altro deficit.
Più romantico Silvio Berlusconi, che ha dato la spallata finale al governo Draghi solo perché gli hanno fatto balenare la possibilità di rientrare al Senato (dove era stato messo alla porta dopo la condanna penale) e addirittura di esserne il prossimo presidente, dunque la seconda carica dello stato dopo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Berlusconi ha subito sfoderato le sue promesse elettorali evergreen: pensioni minime a mille euro per tutti, stipendi a mamme e nonne e, ultimo colpo di genio, dentiere gratis e relative cure odontoiatriche per gli anziani. Ovviamente, tutto in deficit.

Restano sullo sfondo le pulsioni di Giuseppe Conte, dei 5Stelle e del garante del movimento, l’attore Beppe Grillo. I tempi delle vacche grasse – il 34 per cento dei voti alle ultime politiche – è un sogno che non si ripeterà. Sarà un successo arrivare al 10 per cento, nel nord i 5S sono destinati quasi a scomparire, possono dire addio ai seggi vinti a mani basse nel maggioritario.
Possiamo tranquillamente aspettarci una campagna elettorale né interessante, né avvincente. Con un’unica brutta sorpresa finale, quella di vedere aumentare ancora gli italiani che decideranno di non votare. E questo è davvero un brutto segno.