Martedì gli americani votano per il presidente, per rinnovare l’intera Camera dei Deputati e per eleggere 34 dei 100 senatori, 11 governatori e una miriade di funzionari statali, sceriffi, magistrati, sindaci e assessori. E ci sono pure i ballottaggi statali e comunali. Lo Stato di New York, ad esempio, con la “Proposition 1” vuole inserire il diritto di scelta delle donne alla procreazione nella Costituzione statale. Il Comune di New York ha numerose proposte referendarie per gli abitanti della Grande Mela: vuole cambiare le regole per la scelta degli assessori chiamati dal sindaco per dirigere l’amministrazione comunale. In Connecticut viene chiesto agli elettori di demandare all’Assemblea statale il varo di una legge per permettere a tutti il voto in assenza.
Un connubio tutto americano tra elezioni politiche, amministrative e referendum che si basa sulla maggioranza dei voti espressi.
Incredibilmente però questo semplice e democratico sistema non è applicato per l’elezione del presidente degli Stati Uniti: non vince il candidato che prende più voti, ma chi conquista il maggior numero di Grandi Elettori nei Collegi Elettorali. Un sistema ideato da Padri Fondatori con lo scopo di bilanciare il potere tra Stati più e meno popolosi che però alcune volte distorcere la volontà popolare complessiva.
Ecco come funziona.
Il numero degli elettori del Collegio Elettorale è pari al numero totale dei seggi al Congresso (100 senatori e 435 deputati). A questi 535 elettori, si aggiungono 3 Grandi Elettori del Distretto di Columbia. Per essere eletto alla Casa Bianca un candidato deve ottenere almeno 270 voti elettorali.
Ogni Stato dell’Unione ha un numero di Grandi Elettori pari alla somma dei suoi senatori (sempre due) e dei rappresentanti alla Camera, che variano in base alla popolazione. La California, ad esempio, ha 54 elettori; il Texas ne ha 40, mentre gli scarsamente popolati Alaska, Delaware, Vermont e Wyoming ne hanno solo tre ciascuno.
La maggior parte dei Grandi Elettori sono funzionari eletti a livello locale o leader di partito, ma i loro nomi non compaiono sulle schede elettorali. Quasi tutti gli Stati adottano un sistema “winner-takes-all” (“il vincitore prende tutto”), dove il candidato che ottiene la maggioranza dei voti popolari in uno Stato conquista tutti i suoi voti elettorali. Le uniche eccezioni sono rappresentate da Maine e Nebraska, in cui i voti elettorali sono assegnati in modo proporzionale.
Dopo le elezioni di novembre, i Grandi Elettori si riuniscono il lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre (quest’anno il 16) nei rispettivi stati per votare formalmente per il presidente e il vicepresidente. Il 6 gennaio, il Congresso degli Stati Uniti procede al conteggio dei voti che ciascun Grande Elettore ha espresso.
Con questo sistema, però, è possibile che un candidato vinca la presidenza senza ottenere la maggioranza dei voti popolari. È già successo cinque volte. L’ultima nel 2016, quando Donald Trump ha ottenuto 306 voti elettorali, ben più dei 270 necessari, pur avendo preso quasi 3 milioni in meno della candidata democratica.