E adesso la strada è tutta in salita. Piena di insidie, trappole e trabocchetti messi sulla strada del governo di Giorgia Meloni. Non soltanto dall’opposizione, che così fa il suo mestiere. A rendere difficile il cammino della presidente del Consiglio sono anche i suoi alleati.
I leghisti di Matteo Salvini fanno a gara a sollecitare la parte più reazionaria e sovranista dell’elettorato per scavalcare a destra Meloni; gli azzurri di Antonio Tajani, invece, battono freneticamente due tasti. Quello delle corporazioni, a cui il portafoglio non va mai toccato, insieme a quello dei diritti, piazzando sotto i tavoli del Governo una bomba a scoppio ritardato che si chiama Ius Scholae, ovvero una legge che permetterebbe di diventare cittadini italiani dopo aver frequentato con profitto l’intero ciclo scolastico primario.
A trasformare i sogni di gloria governativi di Giorgia Meloni in incubi da paura si aggiungono poi le prodezze di alcuni membri del governo. Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura dall’ego ipertrofico e dalla gaffe pret-a-porter, ha deciso da qualche mese di farsi accompagnare da una intraprendente signora, Maria Rosaria Boccia da Pompei, in tantissime iniziative politiche. Lei sostiene che le era stato promesso un incarico di consulente per i grandi eventi e ha partecipato alla riunioni e discussioni di molti eventi a cominciare dal G7 della Cultura oltre a ricevere documenti ministeriali sulla sua mail. Ma non risultato nomine ufficiali, né incarichi singoli e controfirmati dall’apparato ministeriale.
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Sangiuliano ha giurato a Meloni che neanche un euro pubblico è stato speso per Boccia in alberghi, viaggi, pranzi e cene, la presidente del Consiglio lo ha riferito in un’intervista televisiva e subito su Instagram sono comparse le smentite di Boccia. Chi mente? Sangiuliano – e indirettamente Meloni che gli ha creduto – o la arrampicatrice ministeriale? Nel primo caso appare difficile che il ministro possa continuare a restare dov’è ancora per molto tempo.
Certo non aveva bisogno di grane aggiuntive la presidente del Consiglio. Ne aveva già troppe alla ripresa dell’attività di un Governo scosso dalle fibrillazioni interne all’alleanza di destra-centro. La prima: Meloni sapeva di dover rimettere a posto i pezzi del puzzle dei rapporti europei che le sue scelte politiche guidate dal grande difetto di ritenersi sempre più furba degli altri e delle altre avevano mandato in frantumi. A cominciare dal rapporto con Ursula Von der Leyen, alla quale è stato rinnovato l’incarico di presidente della Commissione Europea. Ma come si fa a non votarla e a chiedere che un italiano diventi vicepresidente esecutivo UE con delega di peso, dopo averla coinvolta in prima persona in tutti le iniziative politiche – migranti, cosiddetto piano Mattei – in cui l’Italia aveva bisogno di far vedere che l’Europa le era solidale? Quale sottile strategia politica era sottintesa a una scelta che ha messo Roma in un angolo?
La seconda grana, di dimensioni ciclopiche: disegnare la prossima legge di bilancio. Soldi ce ne sono pochi, la strada preferita da questo Governo, ovvero le mance a pioggia, non è praticabile a meno di diminuire spese strategiche come quelle per la Sanità o la Scuola. In più, l’Italia ha davanti sette anni in cui deve ridurre il deficit per un importo annuale di 10-11 miliardi di euro. Se, nella prossima finanziaria, il Governo volesse mantenere tutte le scelte fatte l’anno scorso e aggiungere quelle di conio più recente dovrebbe avere in cassa tra i 18 e i 30 miliardi di euro.
Ma tutti questi soldi non ci sono e così il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sta lavorando di forbici nelle pieghe del bilancio, ma appare assi difficile che possa mettere da parte una cifra così alta tagliando un po’ qui e un po’ là. Il rischio, allora, è che si accantonino vecchie promesse, si mettano da parte programmi già in fase di realizzazione e si facciano al tempo stesso nuove promesse sperando che queste alla fine non facciano perdere consensi.
Ma questo è un gioco perdente per definizione. Al massimo ti può allungare un po’ la vita, non certo darti la certezza di arrivare alla fine della legislatura potendo dire: “l’Italia che vi presento è migliore, più ricca, più felice di quella che ho trovato quando sono arrivata al Governo”.