“Perejivanij net“. “Nessuna preoccupazione”.
Parola del Cremlino, che venerdì attraverso il portavoce Dmitrij Peskov si è detto certo che la visita di Vladimir Putin in Mongolia, in programma il 3 settembre, sarà un successo. Una missione che però, già da ora, è un imponente guanto di sfida al diritto internazionale.
Si tratta infatti della prima volta che il leader russo metterà piede in un Paese membro della Corte Penale Internazionale (CPI) da quando la corte dell’Aja ha emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti. Nel marzo 2023 il capo del Cremlino e la commissaria russa per i diritti dell’infanzia Marija L’vova-Belova sono stati accusati di crimini contro l’umanità per la (presunta) deportazione illegale di centinaia di bambini ucraini verso il territorio russo dalle regioni occupate all’inizio del conflitto contro Kyiv (qui l’intervista de La Voce sul tema con il giurista russo Gleb Bogush).
Lo Statuto di Roma – che a Ulaanbaatar hanno letto e sottoscritto nel lontano 2002 – prevede sulla carta che Putin vada arrestato non appena metta piede in un Paese che vi aderisce. Ma, a meno di clamorose sorprese, non avverrà nulla del genere.
Peskov ha sottolineato la “solidità” del dialogo tra la Russia e la Mongolia che, secondo le sue parole, è stato coltivato al punto da superare le ombre gettate dalle accuse mosse dalla CPI. Il Cremlino si dice certo che la visita si svolgerà senza intoppi e che le autorità di Ulaanbaatar non cederanno alle “pressioni internazionali”. Eppure, appena un anno fa, Putin decideva di non presentarsi al vertice dei BRICS in Sudafrica – anch’esso firmatario dello Statuto di Roma – per evitare possibili complicazioni politico-legali.
Durante la sua visita, il presidente russo incontrerà l’omologo Ukhnaa Khurelsukh e sarà ospite d’onore delle celebrazioni per l’85° anniversario della vittoria congiunta delle forze armate sovietiche e mongole sull’esercito imperiale giapponese sul fiume Khalkhin Gol (maggio-settembre 1939), al confine tra Mongolia e Manciuria.
Un’occasione, ça va sans dire, dall’alto valore simbolico. Oggi come ottant’anni fa i rapporti tra i due Paesi sono ben approfonditi, specialmente sul piano commerciale. Il Paese centroasiatico sarà attraversato dal nuovo gasdotto Power of Siberia 2, lungo 2.600 km, che entro il 2030 collegherà Russia e Cina attraverso la Mongolia e avrà una capacità di 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno, generando per le autorità locali proventi economici e forniture energetiche a basso costo.
Dietro un’apparente serenità diplomatica non manca certo qualche ombra. Le autorità ucraine, in una dichiarazione-monito, hanno esortato la Mongolia a tenere fede ai suoi impegni legali arrestando il “criminale di guerra” Putin. Ma sono parole che cadranno verosimilmente nel vuoto – non a caso Ulaanbaatar ha scelto finora una posizione di neutralità riguardo all’invasione russa dell’Ucraina. Segnale che non c’è alcuna intenzione di incrinare clamorosamente i rapporti con l’uomo forte di Mosca.