Con questo primo termine – “oppo” – cominciamo una serie, che avrà scadenza periodica, per spiegare alcuni termini della campagna elettorale.
“Oppo” è la forma abbreviata di “opposition”. Viene usata nel linguaggio colloquiale politico da solo, o nella versione “oppo research”.
L’oppo research consiste nel raccogliere informazioni negative su un avversario politico allo scopo di screditarlo o indebolirlo. La foto che vedete quassù ne è un esempio: facendo ricerche sul passato del vice di Trump, il senatore dell’Ohio JD Vance, sono emerse foto scattate quando frequentava l’università di Yale e si vestì da drag queen, in abiti femminili. Niente di male, normalmente, se non fosse che Vance ha abbracciato posizioni ferocemente critiche contro le “drag queen” e gli spettacoli in cui si esibiscono.
L’oppo si fa anche per i propri candidati, per conoscerne le debolezze, scoprire gli eventuali scheletri negli armadi, gli errori, i peccati che potrebbero essere usati contro lui/lei. In quel caso può prendere il nome di “vulnerability studies”, ma comunque lo si chiami, a condurre la ricerca sono sempre le aziende specializzate in “oppo research”.
In caso le indagini portassero a galla controversie troppo gravi, l’oppo può portare anche all’abbandono di una candidatura, vedi i casi di Zoe Baird, candidata a diventare ministro della Giustizia nel 1993, che dovette abbandonare quando la oppo research rivelò che aveva assunto immigrati illegali, e Harriet Miers che si ritirò dalla nomina alla Corte Suprema nel 2005 quando venne a galla la sua scarsa preparazione.
Le aziende specializzate in oppo research in genere si autodefiniscono “società di ricerca commerciale e di intelligence strategica”. Sono pienamente bipartisan, lavorano per l’uno o l’altro partito. Pochi ad esempio sanno che il famoso “Dossier Steele”, altrimenti noto come il Dossier Trump-Russia, fu inizialmente commissionato su Trump dal Washington Free Beacon, un sito conservatore di notizie che nel 2016 sosteneva alcuni degli avversari del businessman newyorchese alle primarie repubblicane. Solo quando Trump vinse la nomination e il Washington Free Beacon smise di pagare le ricerche, si fece avanti la campagna di Hillary Clinton a rilevare la ricerca.
Il termine ”oppo” è tornato alla luce insistentemente in questi giorni in seguito alla preoccupazione che circola nei club repubblicani riguardo il vice di Donald Trump, il senatore dell’Ohio JD Vance. E’ opinione sempre più diffusa che la campagna di Trump sia stata troppo affrettata nella scelta e non abbia fatto le dovute verifiche sul candidato.
Certo, i trumpiani sapevano che Vance era stato un “never Trump” fino al 2020, e che si era trasformato in un fedelissimo quando si è candidato al seggio senatoriale dell’Ohio, nel 2021 e ha chiesto l’endorsement dell’ex presidente. Lo sapevano di certo i due figli di Trump, Don Jr. ed Eric, che avrebbero insistito perché il padre lo scegliesse in quanto “popolare presso i giovani”.
Ma è giusto chiedersi come sia possibile che la oppo research non abbia portato a galla i tweet in cui Vance definiva Trump “riprovevole” e “idiota”, e addirittura “l’Hitler d’America”. Che non abbia ripercorso il suo curriculum, con le sue dichiarazioni misogine, con le sue speculazioni di venture capital, e addirittura non abbia ripescato le sue foto da studente vestito in “drag”, e altre in cui indossa magliette com il simbolo della falce e martello.
Se i “vulnerability studies” fossero stati condotti in profondità, forse Trump non si sarebbe fidato del consiglio dei figli, forse non avrebbe scelto Vance, o comunque la campagna avrebbe saputo preparare delle difese per ottundere le critiche aspre che certe posizioni di Vance stanno riscuotendo. E non vivrebbe con l’ansia che dall’armadio possano uscire altre brutte sorprese.