Adesso la strada è tutta in salita per il presidente del consiglio Giorgia Meloni e per il suo governo. Da oggi alla fine dell’anno c’è da scalare la montagna che si chiama Legge di Bilancio, ovvero il combinato disposto di tantissime scelte politiche che attengono alla spesa pubblica. E gli altri ostacoli disseminati lungo la via del governo, solo per citarne alcuni, si chiamano immigrazione clandestina, guerra in Ucraina, inflazione, rapporto con la Cina, prezzi delle materie prime.
La luna di miele di Giorgia Meloni, passata con le elezioni del 2022 dall’opposizione dura e pura a Palazzo Chigi, è in fase calante, come quando la luna finisce il suo ciclo e cominciano le notti buie. Certo, nel primo consiglio dei ministri del dopo vacanze, lunedì 28 agosto, ha rivendicato numeri sull’occupazione in crescita e prodotto interno lordo migliore di quello di Francia e Germania. Ma i dati positivi rischiano di essere travolti dalla impossibilità di mantenere le promesse fatte perché i soldi destinati a finanziarle non ci sono.
Ecco allora che Giorgia Meloni dopo aver offerto ai suoi ministri la caramella di quel che è positivo, lancia l’altolà: e dice che bisogna risparmiare e tagliare sulle spese, che non tutto si potrà fare. Insomma all’attivo mancano almeno 15 miliardi di euro per avviare il libro dei sogni del suo governo di destra-centro. Dunque qualcuno dovrà fare sacrifici. E nel migliore stile dei governi italiani (di tutti i colori, nessuno escluso) le risorse saranno trovate levando – o non mantenendo impegni del passato – a chi non può protestare, ed anche se lo fa, dopo una settimana il problema è ormai alle spalle. In questo caso, le prime vittime saranno i pensionati che quasi certamente non vedranno più la rivalutazione promessa del loro assegno.

Non è facile passare dall’opposizione gridata al governo dalla sera alla mattina. L’estate degli italiani, ad esempio, è stata marcata da un forte aumento del costo dei carburanti. Il presidente del consiglio ha fatto finta di nulla, alcuni suoi ministri hanno farfugliato spiegazioni prive di ogni logica politica od economica. Eppure la Giorgia Meloni dell’opposizione era quella che postava filmati casalinghi (si trovano digitando sul web il suo nome e la parole accise e benzina) nei quali irrideva al governo allora in carica dipingendolo come il Dracula che per ogni 50 euro di spesa di carburanti, solo 15 rappresentavano il costo del carburante mentre altri 35 euro erano tasse che finanziavano lo stato (IVA più le accise). Chiedeva a gran voce l’abolizione tout-court. Oggi che è al governo non ha neanche provato a fare quello che fece il suo predecessore Mario Draghi quando di fronte a un aumento verticale dei prezzo congelò una parte delle tasse.
Così, le promesse rischieranno di rimanere tali con la prossima legge di bilancio. Il presidente del consiglio ha promesso di voler tutelare chi ha più bisogno, a partire dai lavoratori dipendenti mantenendo in modo permanente il taglio del cuneo fiscale (quella parte di tasse di busta paga che invece di finire nelle casse dello stato resta in parte al lavoratore e in parte all’impresa) e dalle famiglie per favorire l’incremento della natalità. Ma dove troverà i 10-15 miliardi di euro per il cuneo fiscale? E pensa davvero che la voglia di avere più figli possa risvegliarsi a fronte di un obolo di qualche centinaia di euro all’anno, quando invece servirebbero interventi strutturali a partire dagli asili nido e dalle scuole primarie, dunque interventi solidi e temporalmente pluriennali?
La legge di bilancio sarà anche il banco di prova dello stato dei rapporti tra i partiti che formano il governo, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega. Condannati a governare insieme perché solo questa formula dà loro la maggioranza in Parlamento, ma con le visioni diverse che sempre di più vengono a galla. L’episodio più eclatante è stato quello della tasse sugli extra profitti delle banche decisa un mese fa per decreto e in attesa di essere convertita in legge.

ANSA/ANGELO CARCONI
Forza Italia ha espresso a gran voce il suo disappunto e ha chiesto profonde modifiche. Giorgia Meloni ha risposto a muso duro rivendicando di aver deciso da sola senza avvertire gli alleati: una sortita stile qui comando io che può essere foriera solo di futuri guai. Il presidente del consiglio sa benissimo che la sua forza elettorale è ampia, ma non tale da poter governare da sola. E dunque, oltre alla inutilità di fare la voce grossa, il rischio è poi di ripercorrere la strada antica del dare a ciascun partito dell’alleanza qualcosa al momento della legge di bilancio: che significa disperdere le poche risorse in mille voci di spesa, che non sono altro che mance politico-elettorali.
Il presidente del consiglio dovrà poi guardarsi le spalle fuori dai confini d’Italia. Se il suo governo ha avuto sino ad oggi un deciso apprezzamento internazionale lo si deve alle scelte di fedeltà totale all’alleanza atlantica e alla scomparsa di qualsiasi tono o velleità sovraniste nei rapporto con l’Unione Europea. Ma le vicende della politica non sono mai cristallizzate. E così, nel rapporto con Stati Uniti e Nato, Giorgia Meloni rischia improvvisamente di non seguire lo spartito se Usa e Nato decideranno – e i segni già si intravedono – che la guerra in Ucraina non può durare all’infinito e che appare difficile che uno dei due contendenti possa vincere militarmente. Dunque, bisognerà trovare una via di uscita e cominciare a disegnare la strada per la fine del conflitto. E così anche per l’Europa, l’idillio può finire improvvisamente se l’Italia pensa di poter aggirare le regole del patto di stabilità, in tema di deficit e rientro del debito pubblico.
Da oggi alla fine dell’anno, le scelte del capo del governo risulteranno decisive per due obiettivi chiave del suo mandato. Riuscire a portare a casa un risultato positivo alle elezioni europee e costruire la strada per governare tutta la legislatura la cui fine è fissata al 2027. Salvo inciampi e scivoloni.