Si chiama “il bello della diretta tv”. Tutto accade in tempo reale. Non ci sono pause ne correzioni e nemmeno si può attivare la moviola. I microfoni registrano quello che viene detto, compresi i bisbigli, e le telecamere inquadrano ogni azione che si svolge in aula. Ciascuno con quel materiale grezzo a disposizione sarà libero di giudicare come crede. Un semplice esercizio di democrazia, senza filtri o censure. E’ quello che dovrebbe succedere nelle prossime udienze durante i processi contro Donald Trump e contro chi è imputato con lui nel tentativo di sovvertire l’esito delle elezioni del 2020, ma al tempo stesso anche le sorti della costituzione americana. Non importa se nei tribunali federali le telecamere non sono ammesse. Serve un’eccezione questa volta perché i processi di Donald Trump, stanno diventando processi all’America. Processi tossici.
Non occorre molta retorica. In una società digitale il diritto all’immagine e alla parola in diretta vanno garantite e tutelate, a garanzie degli accusati e degli accusatori. E se il giudice è l’arbitro del processo insieme alla giuria, il resto dell’America dai teleschermi diventerà una sorte di Corte Suprema popolare e silenziosa.
Fuori dall’aula dopo le udienze ci saranno analisti e i commentatori, sostenitori e oppositori di Trump, difensori e accusatori dell’ex presidente e il paese tornerà a dividersi.
Ma nel paese della televisione , la diretta tv in aula è uno strumento di giudizio uguale per tutti. Specialmente in un processo così importante. Offre una verità non manipolabile che nessuno dovrebbe ostacolare. Proprio nel nome della trasparenza.
Quindi non resta che metterla.