Sembra un gioco quello che sta avvenendo a Washington. Più aumentano i problemi legali dell’ex presidente Donald Trump, più i repubblicani scavano alla ricerca di indizi o prove per legare le attività poco chiare di Hunter Biden al padre Joe, presidente degli Stati Uniti.
Un modo per screditare un presidente in carica accusando agenti dell’FBI e magistrati di usare la giustizia come arma politica. Un tentativo per coprire gli abusi che l’ex capo della Casa Bianca ha commesso infrangendo con le sue bugie le regole basilari della democrazia. Unico presidente sotto impeachment per due volte, unico ex presidente con tre procedimenti penali già aperti ai quali, presto, se ne dovrebbero aggiungere altri due.
Un gioco in cui non potendo controbattere sulla montagna di prove raccolte contro di lui, l’ex presidente punta il dito contro inquirenti e magistrati di perseguire lui e di ignorare le malefatte del suo successore. Insomma, Trump accusa Biden di usare la giustizia come arma politica – e a sua volta usa la politica come arma contro la giustizia.

Da una parte le indagini vengono svolte dalle agenzie federali e dai magistrati federali e statali. Dall’altro sul banco dei testimoni, nel teatro creato dai seguaci di Trump, compaiono improbabili personaggi in affari poco chiari con faccendieri internazionali in contratti miliardari. E scavano, indagano, spulciano le dichiarazioni dei redditi, conti bancari e i libri contabili delle società gestite dal figlio dell’attuale presidente alla ricerca del “marcio”, che però, almeno finora, non è stato trovato. O, almeno non è stato trovato nessun legame che agli affari del figlio partecipasse anche il padre.
Eppure i seguaci di Trump non si danno per vinti e scavano nel passato di Hunter, dentro e fuori i centri di recupero, una laurea in legge, una love story con la moglie del fratello mentre era sposato, un figlio con una sua ex assistente, manager di improbabili hedge funds, una società di consulenze e tanti posti nei consigli di amministrazione, ma mai un lavoro “fisso”. Tra le sue consulenze anche quella alla Burisma, società energetica ucraina. Ultimamente s’era messo a fare il pittore, vendendo i suoi quadri per centinaia di migliaia di dollari. Un’attività che portò la Casa Bianca a varare delle regole etiche per evitare di essere accusata di favorire i lobbysti che acquistavano i suoi quadri.
Ieri sera i presidenti di tre commissioni della Camera, Jim Jordan capo della Commissione Giustizia, James Comer, della Commissione di Supervisione, e Jason Smith, della commissione Ways and Means, hanno inviato una lettera all’Attorney General Merrick Garland chiedendo documenti e informazioni sulle circostanze relative al patteggiamento di Hunter Biden con il Dipartimento di Giustizia. Poche ore prima la Commissione di Supervisione aveva tenuto una riunione a porte chiuse con Devon Archer, l’ex socio in affari di Hunter Biden, a piede libero in attesa di entrare in una prigione federale dopo la condanna per una truffa ad una tribù di nativi americani in un caso non correlato con Hunter Biden.
I repubblicani speravano che Archer, che ha lavorato con Hunter Biden in diverse iniziative, testimoniasse delle telefonate tra il padre del suo ex partner, il presidente Joe Biden, e il suo socio. Ma sono rimasti delusi. Le telefonate, circa una ventina, ci sono state, ma erano chiamate di cortesia tra un figlio e il padre. Non si è mai parlato di business. Però le telefonate erano messe in vivavoce in modo che tutti i presenti potessero ascoltare lo stretto legame tra padre e figlio. Una fonte dem a conoscenza dell’intervista a porte chiuse ha rivelato che Archer ha raccontato ai parlamentari che si trattava “di un trucco per mostrare la vicinanza tra loro. Hunter vendeva l’illusione dell’accesso a suo padre”. Insomma, il padre neanche sapeva che il figlio metteva in vivavoce le conversazioni per fare colpo sulle persone con cui voleva fare gli affari.

Nella lettera inviata al Dipartimento di Giustizia, i tre presidenti delle Commissioni della Camera chiedono di presentare una “descrizione generalizzata della natura delle indagini in corso del Dipartimento riguardanti Hunter Biden”, insieme a “una spiegazione del motivo per cui il Dipartimento ha inizialmente accettato un patteggiamento se altre indagini riguardanti Hunter Biden sono ancora in corso”.
Come è noto, il patteggiamento tra Hunter Biden e il Dipartimento di Giustizia è stato sospeso dal giudice distrettuale Maryellen Noreika in una drammatica udienza avvenuta mercoledì scorso in un tribunale del Delaware.
Hunter Biden che non aveva pagato in tempo tasse arretrate per un milione e mezzo di dollari era pronto a dichiararsi colpevole di due accuse fiscali con gli inquirenti federali che avevano accettato e che avrebbero raccomandato al magistrato di emettere una condanna alla libertà vigilata.
Alla fine della lunga udienza il magistrato aveva respinto il patteggiamento. “Non posso accettarlo così come è strutturato”, aveva detto il giudice, affermando che aveva “preoccupazioni” per il collegamento del patteggiamento fiscale, che è un reato amministrativo, alla risoluzione dell’accusa di aver acquistato illegalmente una pistola, che è un reato penale, e che è strettamente correlato alla libertà vigilata che era stata patteggiata.
Durante il procedimento i pubblici ministeri hanno anche confermato che le indagini su Hunter Biden erano ancora in corso e che il patteggiamento non includeva la possibilità di altre future incriminazioni. A questo punto Hunter Biden, che ha pagato completamente le tasse con gli interessi maturati e le sanzioni, ha ritirato la sua richiesta di patteggiamento in attesa della decisione del magistrato.
Il Dipartimento di Giustizia dell’era Trump aveva iniziato a indagare su Hunter Biden nel 2018 e l’indagine si è costantemente ampliata per esaminare se avesse violato le leggi sul riciclaggio di denaro e sulle lobby straniere con i suoi affari multimilionari all’estero. L’inchiesta però dopo quasi due anni, venne archiviata dall’ex ministro della Giustizia William Barr.
A condurre le indagini il procuratore federale David Weiss: nominato dall’allora presidente Donald Trump e il presidente Joe Biden lo ha tenuto al suo posto in modo che potesse continuare a gestire l’inchiesta. Al momento, comunque, non vi è alcuna indicazione pubblica che Joe Biden o la Casa Bianca abbiano mai tentato di intervenire nell’indagine. Il mese scorso, Garland ha respinto le affermazioni secondo cui il Dipartimento di Giustizia avrebbe interferito impropriamente nell’indagine su Hunter Biden.