Mancano undici mesi alle elezioni europee, e il dibattito su quelle che saranno le alleanze post voto e la maggioranza che si formerà, rischia di condizionare pesantemente gli equilibri interni al governo italiano. Per il semplice fatto che i tre partiti che formano il governo di destra-centro guidato da Giorgia Meloni appartengono a tre diverse famiglie della politica europea non alleate tra di loro – anzi in diretta concorrenza.
Forza Italia è nel Partito popolare europeo (Ppe) ed è nella maggioranza che esprime l’attuale leadership europea insieme a socialisti e liberali. Fratelli d’Italia è nel gruppo dei Conservatori, dunque all’opposizione dell’attuale maggioranze. La Lega è affiliata a Identità e Democrazia, formazione anch’essa all’opposizione e a forte connotazione antieuropeista di cui fanno parte i neofascisti francesi e i neonazisti tedeschi.
Dopo aver fatto bingo nelle elezioni politiche italiane dello scorso ottobre, la Meloni sogna di entrare nella maggioranza che governerà l’Europa a partire dal 2024 e sta lavorando perché si rompa l’attuale maggioranza Ppe-Pse-Liberali per formarne una nuova. Ma, almeno per adesso, il suo sogno si infrange contro la maggior parte dei sondaggi. I numeri che escono dal cilindro dei maghi che leggono le intenzioni di voto dicono che sì, i conservatori avranno un buon risultato, ma non tale da consentire di formare un blocco maggioritario. La soluzione per raggiungere il minimo di 307 voti per essere maggioranza potrebbe venire dall’adesione al patto Ppe-Conservatori dei liberali francesi del partito di Emmanuel Macron. Ma il presidente francese ha sempre chiuso la porta a un’alleanza con i conservatori.

Restano allora i possibili voti di Identità e Democrazia per raggiungere il quorum. Ma il Ppe, e la sua propaggine italiana di Forza Italia, vedono come il fumo negli occhi partiti come quello della Le Pen e dei neonazisti tedeschi. E poi la Meloni fatica tanto per scrollarsi di dosso la provenienza dal movimento neofascista del Movimento sociale e costruire una narrazione da leader di conservatori moderni per poi si intrupparsi con francesi e tedeschi nostalgici che per di più non amano l’Europa e l’assetto istituzionale che si è data negli ultimi 30 anni?
Ecco allora che le prossime elezioni europee sono già entrate a far parte del dibattito politico italiano tutto interno al governo. Se il vice presidente del consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani rileva la impossibilità di un’alleanza con la destra antieuropeista , il suo pari grado e ministro delle Infrastrutture, il leader della Lega Matteo Salvini se la cava dicendo “vedremo che cose decideranno gli elettori”.
Resta così schiacciata in mezzo proprio Giorgia Meloni. I suoi sforzi di coniugare interesse nazionale e sovranismo (due concetti impossibili da mettere insieme) e surfare tra l’amicizia con i leader di Polonia e Ungheria cercando poi di accattivarsi il Ppe rischiano non solo di naufragare in modo clamoroso, ma anche di rendere difficile la vita interna al governo e di innescare un dibattitto in cui la coalizione vive in un perenne stato di guerra sotterranea fatta di dispetti, sgambetti e rinvii con il risultato che a rimetterci è l’Italia intera e i suoi cittadini. Di destra, di centro, di sinistra e di quella grande maggioranza che ha scelto di non andare a votare. Non sarebbe un gran risultato politico e segnerebbe l’inizio del suo declino politico.