Nel momento in cui Draghi terminò l’incarico di Presidente del Consiglio a Palazzo Chigi, egli lasciò un testimone sulla questione russo-ucraina.
Il testimone si chiama, tutt’oggi, “Ucraina”. Non perché l’Italia sia contro la Russia, ma perché la Russia va aiutata (tradotto: il popolo russo) a comprendere che se invade un Paese aderente all’Onu (anche se questo vale per tutti gli Stati del mondo) bisogna che ci sia una qualche conseguenza politica.
Quando Draghi afferma al Mit di Boston che la Russia deve crollare intende riferirsi al suo sistema autocratico. E lo dice rispetto al fatto che un “pareggio di guerra” sarebbe una ammissione implicita per l’Onu stessa di delegittimazione dei principi su cui si è fondata. Quindi, di riflesso, un avanzamento per Putin su un altro piano: quello del peso tra Stati Uniti e Cina.
Il rifiuto di Draghi di guidare la Nato dopo Stoltenberg aprirebbe la sua ascesa alla Commissione Europea nel 2024 (così affermano molti analisti).
Eppure a questa visione delle cose si stenta a credere: incaricare Draghi in una dimensione europea è prestigioso e di tutto rispetto, ma decisamente la peggiore scelta politica che si possa fare per evitare le frapposizioni diplomatiche tra coloro che sostengono l’Ucraina perché aggredita e coloro che sostengono l’Ucraina perché vogliono vedere crollare la Russia.
Il punto è semplice: Draghi ha affermato al Mit di Boston una serie di cose che di diplomatico nulla hanno. Anzi, si tratta di una visione geostrategica del mondo mediante cui si può giungere al crollo dell’autocrazia russa senza polarizzare, per forza di cose, l’attenzione dell’opinione pubblica rispetto al ruolo di garanzia comunitaria che devono assicurare le istituzioni europee.
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Si tratta, quindi, di una visione che disegna propriamente un piano al cui vertice c’è l’impegno militare (di difesa) dei Paesi afferenti al sistema di valori della Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite: sostegno all’Ucraina, leva finanziaria e mitigazione fiscale (aumentando dei deficit pluriennali dei Paesi industrializzati e collegati a Onu).
Il discorso di Draghi sembra appartenere ad un ruolo politico di primaria importanza (anche dell’Italia nel mondo): quale migliore occasione di rivederlo in chiave presidenziale. C’è l’Onu, c’è la Banca Mondiale, ma c’è qualcosa di ancora più decisivo: la Presidenza della Repubblica italiana. In questo ruolo si è a capo delle forze armate. In questo ruolo c’è tutto il disegno di Mario Draghi per l’Italia cuscinetto di equilibri tra Occidente e Oriente.
Certo è presto per pensare a Mattarella fuori dal ruolo che oggi ricopre perché nel momento della sua rielezione egli è stato chiarissimo: non sarebbe stata una presidenza ponte. Peraltro si tratta di una grande presidenza (quella di Mattarella).
Il punto di snodo, tuttavia, è un altro.
Draghi non può stare fuori dai giochi per molto perché la sua assenza sulla scena internazionale e nazionale si fa sentire e come. Non per demerito di qualcuno (Meloni, Von der Leyen, Stlotenberg, Guterres, ecc.), ma perché il contrapposto in termini di standing, tenuto conto della personalità di Putin e di ciò che quest’ultimo rappresenta, non è neanche Biden (il quale a breve dovrà fare i conti con le elezioni statunitensi).
Le sorti del mondo sono sempre state in mano a criminali o statisti. Mario Draghi sappiamo bene di che pasta è fatto. Un fatto è da precisare: Mattarella è uno dei migliori presidenti della storia repubblicana. Se lui decide, Draghi potrebbe essere il suo miglior discepolo al Quirinale. Non ora, tra qualche anno.
D’altronde è Mattarella che lo ha voluto Presidente del Consiglio dei Ministri italiano.