Punto e a capo. O almeno ci prova. Riparte dal Pride il centrosinistra afflitto da troppi tormenti: le sonore sconfitte alle ultime amministrative, gli eterni odi tra aspiranti alleati che non lo sono mai stati davvero, le rese dei conti già cominciate nelle solite correnti Pd.
Così ieri in corteo c’erano Schlein accanto a Gualtieri (dopo le diatribe sul termovalorizzatore) e a Maria Elena Boschi (“condivisione con Elly su questi temi”), c’era Emma Bonino e c’era il Movimento 5 Stelle (ma non l’ex sindaca Virginia Raggi). Prove di campo largo sulla strada dei diritti: in alto bandiere arcobaleno e cori unisoni a cantare Bella Ciao. I sorrisi sono smaglianti e le magliette di Boschi e Schlein armocromizzate in bianco: “Siamo un milione” (45mila per la questura).
Ora, ci si chiede: per la maggioranza tutto questo può rappresentare davvero un fastidio? La risposta, mi rendo conto lapidaria, è: no. L’opposizione non riesce a uscire dalla comfort zone dei diritti che, ci mancherebbe, sono importanti ma non fanno scricchiolare né i sondaggi né la presa reale del centrodestra sul Paese. I problemi di Meloni hanno ben altre latitudini rispetto a quelle romane: arrivano da Bruxelles e si chiamano Pnrr, patto di stabilità, accordo sui migranti.
Si chiamano crisi economica – che cova sotto l’ubriacatura estiva legata al boom del turismo – e si chiamano elezioni europee. Il rischio per il governo è proprio il perimetro di alleanze internazionali dentro al quale si muove, e dentro cui potrebbe di scivolare per colpa di una ambiguità di fondo: Meloni usa in Europa una tecnica consolidata, ovvero tira la corda il più possibile ma non la rompe mai. Lo abbiamo visto anche negli ultimi giorni, quando subito dopo aver votato contro i sovranisti del patto di Visegrad (Polonia e Unghieria) sui migranti, torna a tuonare: “Non ratificheremo mai il Mes”. Fa sul serio o è solo un’altra parte in commedia per ottenere qualcosa in cambio?
Anche così fosse, il gioco è pericoloso per le sue conseguenze. La principale: l’isolamento. E davvero non ce lo possiamo permettere.