Ai tempi della Prima Repubblica, la Democrazia Cristiana, il partito che ha dominato la scena politica italiana dagli anni Quaranta ai Novanta, coniò uno slogan elettorale di grande presa tra gli elettori: «Al Centro si vince». Poi, arrivò la grande crisi dei partiti che avevano accompagnato l’Italia fuori dalla guerra e dalle nefandezze del fascismo, che avevano sostenuto la ricostruzione, lo sviluppo, la crescita, e uno dopo l’altro scomparvero – seguendo modi e strade differenti – la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, il Partito Comunista, i laici del Partito Repubblicano, del Liberale, del Socialdemocratico. L’Italia, come anche il Mondo, si polarizzò verso destra e verso sinistra.
Ma negli ultimi 30 anni sono stati decine i tentativi di creare un nuovo partito di centro sognando di ripetere le gesta della Democrazia Cristiana. Ci hanno provato tanti ex dc, Clemente Mastella, Angelino Alfano, Bruno Tabacci, come anche ex seguaci di Forza Italia e Silvio Berlusconi come Giovanni Toti o Maurizio Lupi quando hanno deciso di mettersi in proprio, e perfino ex postfascisti come Gianfranco Fini dopo la liquidazione di Alleanza Nazionale e la rottura con Berlusconi o capetti populisti come l’ex leader del Movimento 5 Stelle Luigi di Maio. Tutti tentativi naufragati: i più fortunati sono riusciti a galleggiare guidando formazioni politiche dal peso elettorale ad una sola cifra, la maggior parte sono scomparsi subito dopo la prima tornata elettorale alla quale si sono presentati.
Che il Grande Centro, oggi ribattezzato Terzo Polo, sia come l’Araba Fenice, lo racconta l’ultimo dei tentativi, quello che ha visto la breve e fantasiosa alleanza tra il romano Carlo Calenda, leader di Azione, e il fiorentino Matteo Renzi, il politico che è stato capace nel giro di un paio di anni di passare dal 40 per cento dei voti conquistati alle elezioni europee del 2014 al disastroso referendum costituzionale del 2016 che lo portò fuori dal Partito democratico e alla fondazione del partitino di Italia Viva.

Soltanto sei mesi fa, Calenda e Renzi annunciarono nell’imminenza delle elezioni politiche del 2022 l’intenzione di fondere le loro creature politiche in un sol partito che nelle loro intenzioni doveva essere il Terzo Polo che avrebbe ridimensionato le voglie populiste di destra e di sinistra, attirato nuovi elettori e creato le premesse per quel centro che avrebbe di nuovo dato le carte della partita politica dell’Italia. L’avventura è durata appunto poco più di sei mesi, trascorsi tra litigi piccoli e grandi e ripicche infantili, incomunicabilità tra i due capi partito, entrambi uomini dall’ego molto sviluppato e perciò poco propensi al dialogo, al lavoro comune, ad accettare di stare un passo indietro.
La rottura è avvenuta quando doveva cominciare il percorso che avrebbe portato Azione e Italia Viva a presentarsi sotto un’unica sigla alle elezione europee del 2024. Calenda e Renzi se le sono dette di tutti i colori. Il capo di Azione ha rinfacciato a Renzi la sua assenza dal lavoro comune e l’interesse a seguire non solo i suoi progetti politici ma i suoi affari a cominciare dal business di consulenze con il saudita Bin Salman, colui che viene indicato colme il mandante dell’omicidio (ucciso e fatto a pezzi con una moto sega) del giornalista Jamal Khashoggi. Renzi ha replicato dicendo che Calenda lo dipinge come un mostro, esattamente come hanno sempre fatto tutti i populisti per attaccarlo.
Nonostante il roboante scambio di accuse, resta abbastanza misteriosa la vera ragione della rottura. Certo, l’ego dei due non poteva essere d’aiuto nel difficile percorso di creare un nuovo polo di attrazione politica che non si fermasse a pochi punti decimale come è accaduto per loro nelle ultime elezioni politiche, ma anzi è stata la benzina che ha acceso l’ultimo incendio. Ed anche il percorso scelto di formare subito un gruppo unico in Parlamento per ottenere milionari sussidi e visibilità mediatica mentre poi i due partitini facevano vita separata non era certo l’indicatore di una irrefrenabile passione per costruire una casa comune.
Poi, man mano che si avvicinava il giorno in cui Azione e Italia Viva avrebbero dovuto sciogliersi, si approssimava anche il momento in cui uno dei due avrebbe dovuto cedere il passo all’altro riconoscendolo come leader del nascente Terzo Polo. E di fronte a questo scenario nessuno dei due ha resistito a questa penosa rissa. Infine, non bisogna scartare l’ipotesi che sia Calenda che Renzi abbiano un sogno nel cassetto: ereditare Forza Italia il giorno in cui Berlusconi non sarà più il leader che dice l’ultima parola su tutto. Ma pensare di costruire così il Terzo Polo sembra davvero una fantasia molto infantile.