Il governo di Giorgia Meloni ha ripetuto l’errore di tutti i governi che l’hanno preceduto.
Davanti a difficoltà che non sapeva come affrontare e, soprattutto come superare, ha usato una formula semplice e molto infantile. «La colpa è del (o dei) governo precedente», frasetta standard per allontanare ogni critica con una scrollata di spalle.
La presidente del consiglio Giorgia Meloni lo aveva fatto in occasione della grana superbonus, quel provvedimento dell’era governo Conte 1 (alleanza Movimento 5 Stelle e Lega) varato per ammodernare il patrimonio immobiliare degli italiani senza però prevedere una capillare rete di controlli. Stessa formula di nuovo pochi giorni fa per qualcosa di ancora più serio: il Pnrr, quella montagna di miliardi di euro (190) ottenuti dall’Unione Europea per modernizzare l’Italia, le sue infrastrutture e la macchina amministrativo-burocratica. Pioggia di denaro che però prevede l’ammodernamento di leggi e un piano puntuale sulla tabella di marcia degli investimenti.
Bene, adesso è tempo di riscuotere una nuova tranche dei 190 miliardi. Ma la Ue autorizza il bonifico solo in presenza di una tabella di marcia rispettata e verificabile. Dalle carte qualcosa non va, i ritardi ci sono e l’Italia dovrà entro 30 giorni presentare dossier capaci di fugare i dubbi dei controllori europei.
E che cosa fa il governo davanti al problema? Allarga le braccia e chiama in causa come responsabile Mario Draghi, il capo del governo affondato da Giorgia Meloni (Fratelli di Italia era all’opposizione) e dall’accoppiata Lega M5S (entrambi al governo). I ritardi, è stato il coro dei ministri in carica, vengono dall’era del governo di Mario Draghi.
Strano modo di fare politica, quello di non assumersi mai responsabilità. Abbastanza diffuso nei diversi schieramenti del Parlamento, è diventato espressione costante del governo di destra-centro di Giorgia Meloni. Che al tagliando assai vicino dei sei mesi a Palazzo Chigi, non può vantare né grandi successi, né grandi idee.
Scontate le cose da fare come mettere al riparo le famiglie dagli aumenti di gas ed elettricità sulla scia del precedente governo, prevedibili le scelte nate dalle promesse della campagna elettorale, come il ridimensionamento del reddito di cittadinanza e il florilegio di decreti all’insegna della deregulation fiscale (sanatoria tasse evase, aumento dell’uso del contante), il governo Meloni sembra aver adottato una linea di questo tipo: libertà per ogni partito della coalizione di portare avanti i propri programmi e le proprie promesse elettorali, in cambio di non disturbare il ruolo da premier di Giorgia Meloni con critiche o prese di distanza.
Strana coalizione quella di centro destra che sceglie di non disturbare la presidente del consiglio nella scelta di capi azienda in scadenza, in cambio del rilancio (finto e costoso) del progetto per il ponte sullo stretto che divide l’Italia continentale dalla Sicilia affidato alla Lega o dell’attenzione ai problemi delle aziende e dei processi di Silvio Berlusconi, l’ottuagenario leader di Forza Italia.
Quanto durerà? Il governo Meloni potrebbe pure durare i 5 anni previsti dalla costituzione oppure esplodere senza preavviso per una lite su qualche do ut des tra i partiti della coalizione.