Da ottobre del 2021 il consiglio di amministrazione del Fondo Monetario Internazionale rinvia ogni decisione su un prestito di 1,9 miliardi di dollari al governo della Tunisia. E solo due giorni fa anche la Banca Mondiale ha dato l’altolà al paese nordafricano. In una nota interna, il presidente uscente David Malpass ha deciso di sospendere ogni operazione con la Tunisia perché il presidente Kais Saied è partito “lancia in resta” contro gli immigrati, regolari e irregolari, che dalla regione subsahariana arrivano in Tunisia. Per fare lavori di bassissimo livello e con la speranza di riuscire a entrare in Europa con l’aiuto delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di clandestini.
Fondo Monetario e Banca Mondiale hanno apertamente criticato le posizioni assunte nell’ultimo anno dal presidente tunisino. E non solo in tema di immigrazione. Il Fondo monetario ha giudicato negativamente le politiche del presidente Saied nei confronti degli altri partiti politici (è arrivato a sciogliere il Parlamento) e indire nuove elezioni nel tentativo di mettere a tacere le opposizioni. Al Fondo Monetario, poi, il presidente ha fatto sapere che intende gestire gli eventuali aiuti senza alcuna intromissione da parte di organizzazioni internazionali.
Un comportamento che denota come il regime tunisino stia scivolando rapidamente verso un’autocrazia chiusa in se stessa. Eppure, proprio cinque mesi fa, si era conclusa in modo positivo una missione degli esperti dell’IMF a Tunisi. C’erano state lunghe discussioni sul modo di aiutare il paese a uscire da una crisi finanziaria terribile, si era convenuto quali riforme andavano fatte per implementare gli aiuti finanziari, si era perfino stabilita la sequenza temporale con la quale sarebbero arrivati i prestiti: un miliardo e 900 milioni di dollari in quattro tranche per evitare la bancarotta del paese. Poi, tutto si è fermato e la riunione per la decisione finale del consiglio di amministrazione del Fondo Monetario per l’approvazione del prestito non è mai stata convocata.

Il congelamento è andato avanti 5 mesi, in attesa che il leader tunisino dimostrasse disponibilità a seguire le regole che il Fondo Monetario mette in campo con chiunque riceva un aiuto finanziario. Ma invece di mostrarsi disponibile, il presidente Kais Saied ha indurito la sue posizioni. Come? Rallentando prima l’approvazione della legge di bilancio 2023, poi sciogliendo il Palamento, quindi favorendo una repressione poliziesca e giudiziaria contro gli oppositori interni.
Adesso ha dato il via alla campagna anti immigrazione, usando argomenti ereditati dalla più becera destra reazionaria europea: ovvero che i subsahariani che arrivano in Tunisia hanno come progetto finale quello di “cambiare l’assetto demografico della Tunisia”, sostituendo la componente arabo-musulmana del paese con quella degli immigrati. Argomenti del genere furono usati dai nazisti contro gli ebrei. Non contento di questa performance, il presidente tunisino ha scatenato le forze di sicurezza contro le migliaia di studenti, sempre originari dei paesi subsahariani, che hanno scelto la Tunisia per i loro studi e che sono in quel paese con regolari permessi. Ci sono stati controlli, fermi, a volte arresti (una ventina, inclusi oppositori tunisini) e la comunità studentesca ha lanciato l’allarme. Chi ha provato a protestare per i propri diritti si è visto espellere su due piedi.
Così, “le misure urgenti contro l’immigrazione” chieste a gran voce dal presidente tunisino hanno convinto il presidente del Fondo Monetario David Malpass a firmare una nota interna nella quale si sospende ogni missione in quel perché “la sicurezza e l’inclusione dei migranti e delle minoranze fanno parte dei valori centrali di inclusione, di rispetto e di antirazzismo”. Un supporto al rallentamento di ogni aiuto del Fondo Monetario.

Dal 2019, anno in cui è stato eletto, il presidente tunisino si è trasformato molto velocemente in un autocrate sordo a qualsiasi parola o gesto di dissenso dalla sua politica. È arrivato a dicembre a sciogliere il Parlamento e convocare nuove elezioni nella speranza di mettere alle corde qualsiasi opposizione. Alcuni dei partiti contrari alla sue politiche hanno deciso, in segno di protesta, di non presentare candidati alle elezioni per evitare di essere comunque coinvolti in un nuovo parlamento a tasso molto basso di democrazia costituzionale.
Intanto il paese è sull’orlo del collasso. Il ministero dell’economia di Tunisi non dispone del denaro sufficiente a onorare gli impegni dell’ultima legge di bilancio (redatta anche sulla base del previsto aiuto del Fondo Monetario). Le riserve in valuta estera della Banca Centrale non sono sufficienti a pagare il debito esterno. E la società tunisina è in fermento: sono in agitazione i lavoratori delle miniere, quelli dei trasporti, gli impiegati pubblici. Insomma, la primavera tunisina sembra ormai appartenere alla preistoria del paese.
Il presidente Saied è riuscito in questi mesi anche a inimicarsi molti dei paesi del Golfo sempre pronti ad aiutare i fratelli tunisini: è tornato a mani vuote e inseguito da pesanti critiche da un summit arabo-cinese che si è svolto mesi fa a Riad.
Se non sarà trovato un modo per uscire da questa impasse dovuta interamente alla scelte politiche del presidente Kais Saied, il paese rischia seriamente il collasso. Ed una delle probabili conseguenze sarà l’aumento vertiginoso delle partenze verso le coste italiane di uomini, donne e bambini in cerca di una vita migliore. Il primo approdo italiano (l’isola di Pantelleria) dista solo 65 chilometri dalla costa tunisina.