È cominciata all’insegna dei dispetti, degli sgambetti e delle divisioni la XIX legislatura. Il centro destra che ha vinto le elezioni si è presentato al primo appuntamento diviso e pronto a una guerra fratricida. Lo si è visto con il voto per eleggere i presidenti di Camera e Senato.
Al Senato è stato eletto presidente Ignazio La Russa, storia politica tutta alla estrema destra prima con il Movimento sociale con Fratelli d’Italia. Ma a La Russa sono mancati quasi tutti i voti dei senatori di Forza Italia.
Alla chiamata al voto hanno risposto solo il fondatore di FI Silvio Berlusconi e l’ex presidente del Senato (XVIII legislatura) Maria Alberti Casellati. Tutti gli altri non hanno votato. La spiegazione sarebbe nel diktat lanciato dalla senatrice di FI Licia Ronzulli a tutti i suoi colleghi. La Ronzulli, che come storia politica ha al suo attivo l’essere diventata l’ombra di Silvio Berlusconi tanto da essere soprannominata la Badante, ha imposto il non voto come forma di pressione per piegare le resistenza di Giorgia Meloni al suo ingresso nel prossimo governo.

La Ronzulli vorrebbe guidare un ministero, anche di peso tipo la Sanità, ma la Meloni non ha nessuna voglia di averla in consiglio dei ministri. Né in un ministero con portafoglio né in uno senza portafoglio. Non la vuole punto e basta, perché a suo giudizio nulla porta alla linea di formare una compagine di persone esperte e di valore.
Ma Ignazio La Russa ha comunque raggiunto un numero sufficiente di voti, 116. In suo soccorso è arrivato un compatto plotone dall’opposizione. Nessun gruppo politico ha rivendicato il gesto ma i sospetti si sono subito rivolti in direzione del Terzo Polo, la formazione centrista di Carlo Calenda e Matteo Renzi, e del Movimento 5 Stelle. Se fosse il Terzo Polo ad aver aiutato il centro destra ad avere il presidente gradito a Giorgia Meloni, il gesto può essere tranquillamente considerato come l’offerta di venire in soccorso del futuro governo ogniqualvolta le contraddizioni interne alla coalizione Fratelli d’Italia-Forze Italia-Lega rischiano di mandare il governo in minoranza. E nel più immediato futuro ad avere il sostegno del centro destra al momento della scelta delle vice presidenze di Camera e Senato e delle commissioni parlamentari di garanzia il cui presidente viene scelto tra i membri dell’opposizione.
Se invece l’aiutino fosse arrivato dal Movimento 5 Stelle è più probabile che questo possa essere interpretato come un gesto per far salire la tensione all’interno del centro destra in vista della formazione del prossimo governo. Qualcosa a metà tra la goliardia e la politica corsara.

Per la Camera ci sono voluti due giorni di votazioni. Giovedì è stato bruciato il candidato della Lega Riccardo Molinari, ex capogruppo nella precedente legislatura, con tre votazioni in cui hanno prevalso le schede bianche. È stato affossato sempre dai dissidi interni al centro destra. Oggi, l’ha spuntata Lorenzo Fontana che ha però ottenuto 15 voti in meno rispetto alla somma di tutti i parlamentari del centro destra. Fontana, molto legato al segretario Matteo Salvini, non ha mai nascosto le sue simpatie per politici come Donald Trump e Vladimir Putin, si è sempre richiamato alla cosiddetta famiglia tradizionale e usa in continuazione l’espressione “identità” e “valori identitari”. Paritto democratico e Movimento 5 Stelle hanno disertato il brindisi del dopo elezioni presidenti della Camera.
Adesso, in vista dell’inizio delle consultazioni al Quirinale, entrerà nel pieno la trattativa per il governo. E viste le divisioni interne alla coalizione di centro destra, è assai probabile che il percorso sarà assi accidentato. I due alleati di Fratelli d’Italia (Lega e Forza Italia) faranno di tutto per dimostrare che senza i loro voti la maggioranza scompare in un attimo e i sogni di Giorgia Meloni possono andare in frantumi molto presto. Basterebbe guardare agli appunti che Silvio Berlusconi teneva in vista sul suo scranno da senatore dove le leader di FdI viene definita “prepotente”, “arrogante”, “onnipotente”.