Sono stasi mesi di udienze, interrogatori e indagini. Alla fine, nel concludere l’ultima seduta dedicata alle insurrezioni a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, la Commissione della Camera ha votato all’unanimità la citazione in giudizio di Donald Trump.
La rappresentante Liz Cheney ha proposto la storica risoluzione chiedendo una votazione a voce. Doveva essere chiaro a tutti quale fosse il voto della giuria. “Siamo obbligati a cercare risposte direttamente dall’uomo che ha messo in moto tutto questo”. I nove membri, sette democratici e due repubblicani, hanno votato senza indugio “Sì”.
“È nostro dovere chiedere la testimonianza di Donald Trump”, ha dichiarato il presidente Bennie Thompson. “Sappiamo che un mandato di comparizione nei confronti di un ex presidente è grave e straordinario ed è per questo che adottiamo questo passo ben visibili agli occhi degli americani”, ha dichiarato Thompson. “Deve rispondere a quegli agenti di polizia che hanno messo a rischio le proprie vite e i propri corpi per difendere la nostra democrazia”.
La Commissione ha ricostruito il filo degli eventi che portarono all’assalto al Campidoglio, dimostrando come l’ex presidente avesse pianificato “con largo anticipo” di dichiarare la sua vittoria, ancor prima che fossero resi noti i risultati.
Secondo quanto emerso dalle indagini, Trump e il suo entourage avrebbero pianificato, diversi mesi prima del voto, di respingere il risultato qualunque fosse stato l’esito delle urne.
“Perché la Commissione non selezionata non mi ha chiesto di testimoniare mesi fa? – ha subito scritto l’ex inquilino della Casa Bianca sul social Truth – Perché hanno aspettato sino alla fine, ai momenti finali del loro ultimo incontro? Perché è un disastro totale servita solo per dividere ulteriormente il nostro Paese. Uno zimbello in tutto il mondo”.