Da una parte la Russia, dall’altra l’Ucraina. Nessuno dei due Paesi è Nato, entrambi però sono aderenti alle Nazioni Unite.
Che la Russia abbia superato il principio di non aggressione, ai sensi dell’art. 2 dello Statuto delle Nazioni Unite, parrebbe ormai conclamato. Che l’Ucraina non abbia adempiuto agli accordi di Minsk del 2015, avendo l’obbligo di rendere i territori del Donbass maggiormente autonomi con un processo costituzionale ad hoc, sarebbe altrettanto risaputo.
Nella ricerca “La guerra nella Costituzione dell’Ucraina” (pubblicata a maggio scorso dal GEODI – Centro di ricerca di geopolitica e diritto pubblico comparato – dell’Università internazionale degli studi di Roma) si spiega come entrambi i Paesi in conflitto hanno dovuto fare i conti con una dimensione psicologica del potere che ha portato al superamento ulteriore di due cose: il principio comunitario delle scelte (nelle rispettive costituzioni) ed il principio di rispetto della sovranità (anch’esso in entrambe le carte fondamentali).
Il chè sta a significare, da una parte, che con il referendum di pochi giorni fa la Russia avrebbe raggiunto lo stesso risultato che si sarebbe potuto conseguire se solo avesse chiesto alle Nazioni Unite di cristallizzare nella mente dell’Ucraina la strada referendaria sotto la supervisione della comunità internazionale per risolvere la “questione Donbass” una volta per tutte (è certo che un conto è il voto sotto tempo bellico, altro è sotto tempo di pace). Altrettanto, dall’altra parte, significa che c’è un mancato e/o impossibile esercizio della piena sovranità da parte Ucraina in quei territori. Cosa che non si è generata con l’attacco russo di febbraio 2022, ma che quest’ultimo è una sorta di conseguenza di ciò che di per sé era ed è cronico (l’instabilità del rapporto Stato-separatisti).

Allora, al netto delle regole, dei principi, di chi ha torto o ragione, c’è una fase nuova sotto il profilo politico ed anche militare. Si tratta di un punto netto dal quale far iniziare un’altra storia di questa drammatica e travagliata vicenda che lascia sul terreno morti, disperazioni, rancori e dolori.
A prescindere se il referendum appena svoltosi in Donbass sia corretto o meno, siamo difronte ad una sorta di inversione dell’onere della sovranità (si ricordi che quest’ultima mai è assoluta anche laddove essa sia riconosciuta ai livelli internazionali più alti perché la sua fragilità dipende dal concreto esercizio della stessa).
Il procedimento di annessione russo, al culmine con la dichiarazione del Presidente Putin del 30 settembre 2022, segna uno spartiacque. Cosa dice Putin? Fonte Ansa riporta testuali parole: “le persone che vivono nel Lugansk, nel Donetsk, a Kherson e Zaporizhzhya diventano nostri cittadini per sempre” e, ancora, che l’Ucraina, come riporta La Voce di New York, deve “cessare il fuoco cominciato nel 2014, siamo pronti a tornare al tavolo dei negoziati. Ma la scelta dell’annessione della popolazione delle quattro regioni ucraine non è più in discussione”.
Parole che sembrano dire una cosa sola: l’Ucraina ha disatteso per anni l’autonomia costituzionale del Donbass a tal punto che quelle persone si sentono non più filorusse, ma strutturalmente russe.

È per questo che Putin rivolge l’attenzione al concetto di personalizzazione donbassiana della terra e non il contrario. Tanto che della difesa di quest’ultima ne parla in un secondo passaggio ovvero (sempre fonte Ansa) “Difenderemo la nostra terra con tutti i mezzi a nostra disposizione” collegandone il quadro ad un ulteriore passaggio cruciale: “L’Unione Sovietica è passata e non tornerà. Ma i russi che vivono al di fuori dei confini della Russia possono tornare alla loro patria storica”.
Cerchiamo, a questo punto, di soffermarci su alcune dinamiche logico-politiche.
La necessità originaria della Russia era garantire ai filorussi del Donbass un esistere sicuro, ragione per cui è avvenuta l’operazione speciale (a prescindere dal fatto che tramite quest’ultima si era tentata la forzatura di annettere buona altra parte di terra ucraina).
Ad oggi la Russia non può mantenere lo stato di agitazione bellico: vedasi le proteste interne, i disertori, i rischi di insurrezione e soprattutto il rischio di non mantenimento di standard militari in termini di performance sul campo. In più da tener conto il famoso “rischio nucleare” che così come percorribile dalla Russia, lo sarebbe per altre 50 volte contro di essa (sommando il potenziale dei Paesi Nato).
Quindi questi passaggi portano ad una o più evidenze che potrebbero così essere schematizzate:
1) la guerra potrebbe essere tecnicamente/fisicamente finita;
2) si invertirebbe l’onere della riconquista dei territori del Donbass;
3) l’Ucraina, a questo punto, potrebbe paradossalmente chiedere a Minsk (si ribadisce qui il termine paradosso) l’adempimento “a contrario” ovvero il rispetto originario degli accordi (rendere più autonomo il Donbass e non di giungere all’annessione russa);
4) le Nazioni Unite qualora, per via accelerata, dovessero riconoscere l’Ucraina nella Nato, si indurrebbe a bilanciare il piano dialettico geopolitico su una parità di contro-dialogo mondiale (Nato da una parte, sfera Russo-Cinese dall’altra) così livellandosi il gridato gap di serietà che Putin aveva manifestato in passato.
5) effetto domino che potrebbe portare al termine della dinamica bellica residuando così solo eventuali procedimenti o contenziosi internazionali circa la disputa del nuovo territorio di confine annesso dalla Russia.
Per esemplificare si potrebbe non altro pensare al caso tipo per cui si va in Tribunale a chiedere la consegna di una cosa della quale non si è titolari; allora, in attesa che il Giudice possa esprimersi, chi vanta l’oscuro diritto se ne appropria con ogni strumento possibile cosicché fino alla fine della causa chi è stato spogliato non ha più le forze per rivendicare ciò che è stato perso. Sa tanto di beffa, è vero. Ma nella più ottimistica delle valutazioni, potremmo essere davanti ad un caso di indotta cessata “materia del contendere delle ragioni di Stato” sul campo (ucraine e russe) con l’effetto di uno “stato delle cose sopraggiunto”.
Di contro, nella peggiore delle ipotesi siamo davanti all’inizio della fine. Per tutti. Ma meglio la prima. Decisamente. Lo sa anche chi annette. Se no a che serve?