La montagna ha partorito il topolino … e ha creato tanta confusione. Il Secret Service (scorta personale del presidente) ha fornito un solo messaggio all’ispettore generale del Department of Homeland Security, Joseph Cuffari, che aveva richiesto alla direzione del Service, che è una branca dell’Homeland Security, un mese di documentazione, e-mail e messaggini telefonici per i 24 agenti della scorta dell’ex presidente dal 7 dicembre all’8 gennaio.
Un solo messaggio mandato dal capo della polizia del Campidoglio, Steven Sund all’ex capo della divisione dei servizi segreti, Thomas Sullivan, in cui chiedeva assistenza durante il tentativo insurrezionale. “Non è vero – afferma il portavoce del Secret Service Anthony Guglielmi – abbiamo consegnato migliaia di documenti”.
Una situazione molto confusa in cui accuse e smentite si inseguono offuscando e confondendo i fatti. Resta di base che la Commissione d’Inchiesta del 6 gennaio aveva chiesto al Secret Service i messaggi che gli agenti della scorta del presidente si erano scambiati durante le drammatiche ore dell’assalto al Campidoglio. Partita la richiesta il Service ha risposto che a causa della manutenzione dei computer, da mesi annunciata, i messaggi e le e-mail che gli agenti si erano scambiati erano stati cancellati. Il risultato è che non si capisce se ci sia stata una sfortunata coincidenza o se l’ufficio dei Servizi Segreti cerchi di nascondere quello che gli agenti si sono detti.
Nel frattempo il responsabile del Service, James Murray, nominato da Trump nel 2019, ha lasciato l’incarico per diventare Chief Security Officer di Snapchat, braccio destro di Evan Spiegel. “È una storia che puzza” ha detto il congressman Jamie Raskin, uno dei commissari democratici. “Ma l’ufficio dei Servizi Segreti può essere sicuro che indagheremo a fondo su questa vicenda”.

Domani sera alle 20:00 ci sarà l’ultima audizione della Commissione d’Inchiesta della Camera e la vicenda dei messaggi degli agenti della scorta di Trump verrà sicuramente affrontata.
Dalle indagini della Commissione d’Inchiesta alle indagini della magistratura. Il grand jury istituito dall’ufficio del Procuratore Distrettuale della contea di Fulton in Georgia, che è quella della città di Atlanta, ha convocato 12 “falsi elettori” dello Stato che dovranno comparire per essere interrogati nell’inchiesta penale sulle interferenze elettorali del 2020 da parte dell’ex presidente Donald Trump e dei suoi alleati.
La notizia è trapelata dopo che gli avvocati delle persone convocate hanno depositato la richiesta al magistrato per annullare le convocazioni definendole “irragionevoli e oppressive”.
Dopo le elezioni del 2020, sono state preparate false certificazioni elettorali con i nomi dei grandi elettori di Trump. Queste certificazioni sono state inviate ai National Archives di Washington dai repubblicani in sette Stati in cui Joe Biden aveva vinto: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, New Mexico, Pennsylvania e Wisconsin.
Un tentativo, che alla fine non ha avuto successo, per creare due gruppi di Grandi Elettori: un gruppo ufficiale selezionato dagli Stati in cui Biden aveva vinto e un altro gruppo con i nomi dei falsi Grandi Elettori. Nel corso di una udienza pubblica il mese scorso, la Commissione d’Inchiesta della Camera ha documentato che gli avvocati di Trump avevano organizzato questo complotto con l’intento di ribaltare il risultato delle elezioni del 2020 organizzando le liste con i “falsi elettori”. Liste che poi hanno presentato ai National Archives sperando che l’allora vicepresidente Mike Pence le accettasse come legittime in modo da bloccare il 6 gennaio 2021 la certificazione della vittoria di Biden.

Gli avvocati degli 11 elettori della Georgia hanno affermato che i loro clienti non erano a conoscenza di questo complotto preparato dagli avvocati di Trump John Eastman e Rudy Giuliani. E per questo il grand jury ha anche convocato a testimoniare i due legali.
Nel pomeriggio al Senato è stato presentato un disegno di legge bipartisan, relatori la repubblicana Susan Collins e il democratico Joe Manchin, per eliminare la possibile confusione del voto dei Grandi Elettori e dare al vicepresidente solo il ruolo cerimoniale della convalida della certificazione elettorale. Una modifica all’Electoral Count Act del 1887 che aveva dato il pretesto a Trump per cercare di manipolare il vicepresidente e bloccare la vittoria di Biden. La proposta avrebbe l’appoggio di 10 senatori repubblicani e quindi potrebbe passare al voto prima dell’interruzione legislativa per le vacanze estive.

In tribunale terzo giorno del processo a Steve Bannon, l’ex guru politico di Donald Trump rinviato a giudizio per essersi rifiutato di comparire davanti alla Commissione d’Inchiesta della Camera e a fornire lettere e-mail e comunicazioni avute con l’ex presidente prima dell’assalto al congresso del 6 gennaio. Sul banco dei testimoni Kristin Amerling, avvocato della Commissione d’Inchiesta della Camera che fa parte di un book club al quale è associata Molly Gaston, uno degli avvocati dell’accusa.
Particolare, questo, più volte martellato dagli avvocati di Bannon, che si battono cercando di convincere i giurati che l’incriminazione è un atto politico che nulla ha a che vedere con la magistratura. Per questo i suoi avvocati hanno anche accusato il congressman Bennie Thompson, presidente della Commissione d’Inchiesta della Camera, di essersi rifiutato di testimoniare a questo procedimento.
Per Bannon e Trump il processo è un banco di prova importante in vista soprattutto della possibile ricandidatura alla Casa Bianca dell’ex presidente nel 2024. Bannon ha sempre negato ogni responsabilità per l’attacco del 6 gennaio, pur vantandosi di essere “l’architetto ideologico” dei tentativi di ribaltare il risultato delle elezioni del 2020.
Licenziato su due piedi dalla Casa Bianca nel 2017 per i veleni della West Wing, Bannon non ha mai scaricato del tutto Trump che prima di lasciare la Casa Bianca gli ha concesso il perdono presidenziale per una truffa commessas ad un gruppo di sostenitori del Muro con il Messico, e con il suo podcast ‘War Room’ – off limits sui social per i contenuti violenti – ha portato avanti teorie cospiratorie. Già nel settembre 2020 si era spinto a delineare i passi che l’ex presidente avrebbe dovuto intraprendere per capovolgere il voto.
Il giorno prima del tentativo insurrezionale Trump e Bannon hanno parlato telefonicamente dal Willard Hotel almeno due volte. E l’ex stratega era in una riunione nella suite dell’elegante albergo insieme a Rudy Giuliani, Michael Flynn, Bernard Kerig per cercare di trovare il modo per negare a Joe Biden la presidenza.

Infine ieri nelle primarie repubblicane del Maryland è emerso un vincitore: Dan Cox, un legislatore statale di estrema destra sostenuto dall’ex presidente Donald Trump che ha sconfitto un rivale moderato sostenuto dal governatore uscente Larry Hogan. Nonostante sia stata una vittoria per Trump, la vittoria di Cox sull’ex membro del governo Hogan Kelly Schulz potrebbe essere un duro colpo per le possibilità repubblicane di mantenere il seggio a novembre.
Hogan, a cui era stato proibito di candidarsi per il terzo mandato consecutivo, era un raro caso di governatore repubblicano in uno Stato fortemente democratico, e aveva approvato Schulz come successore del suo stile di leadership bipartisan.