Sembra un po’ una commedia all’Italiana: i due ex direttori dell’Fbi che indagavano sui misteriosi rapporti tra Donald Trump, gli oligarchi russi e le interferenze di Mosca sulle elezioni del 2016 furono a loro volta indagati dall’ufficio federale delle tasse da un direttore di fresca nomina dell’ex presidente. Pura coincidenza che James Comey e Andrew McCabe siano stati scrutinati, affermano a denti stretti l’ufficio di Charles Rettig, il commissioner dell’Internal Revenue Service, l’Ufficio delle Entrate americano.
Si apre così un nuovo capitolo nella lunga lista di accuse dell’uso scorretto della pubblica amministrazione da parte dell’ex presidente. Lo scoop lo ha fatto il New York Times, che ha dato ampio risalto alla notizia immediatamente ripresa dai maggiori quotidiani americani.
“Questi tipi di audit da parte dell’IRS sono progettati per essere rari e casuali. La probabilità che due persone così odiate dall’ex presidente venissero controllate nel giro di pochi mesi ha sollevato preoccupazioni per Comey che si è retoricamente chiesto se ne sia stato fatto un possibile uso politico improprio da parte dell’IRS” scrive il Washington Post.

Laurence Tribe, professore emerito di Diritto Costituzionale all’Università di Harvard intervistato da Newsweek, esclude la possibilità che entrambi gli ex direttori dell’Fbi fossero stati selezionati casualmente e insinua che Trump abbia usato l’IRS come arma contro i suoi nemici. “Questo tipo di bersagli politici è un grave crimine federale. Non è certo una coincidenza. Le probabilità sono 30.000 a 1”, ha twittato Tribe.
E ora a Washington si è aperta la caccia alla ricerca di chi abbia dato l’ordine per indagare sulle dichiarazioni dei redditi dei due ex direttori dell’Fbi, perché alla fine dei conti, dopo tutti i controlli Comey è stato rimborsato di poche centinaia di dollari per la dichiarazione del 2017, mentre McCabe ha dovuto pagare una modesta cifra.
Secondo il New York Times l’Internal Revenue Service ha condotto verifiche approfondite a partire dal 2017 sulle dichiarazioni dei redditi dell’ex direttore dell’Fbi, James Comey, e di Andrew McCabe, all’epoca suo vice. Donald Trump nel 2017 ha licenziato l’ex direttore dell’Fbi denunciandone la “mancanza di lealtà”, e attaccandolo per la “gestione fallimentare” delle indagini relative ai suoi legami con alcuni oligarchi e alle interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016. Gli attacchi mediatici di Trump nei confronti di Comey continuarono anche dopo il suo licenziamento, con accuse di alto tradimento e richieste pubbliche all’Attorney General perché avviasse un procedimento giudiziario a suo carico.
Un particolare importante fa notare il New York Times riguarda la natura dell’ispezione condotta dall’Agenzia, ben più approfondita rispetto ai controlli ordinari. Le verifiche sulla dichiarazione dei redditi di Comey, avviate nel 2019, rientrerebbero infatti in un programma denominato Nrp (National Research Program), teso a verificare la presenza di eventuali casi di evasione fiscale. A differenza di un controllo ordinario, che tipicamente riguarda sezioni specifiche della dichiarazione dei redditi, le verifiche condotte nel quadro Npr riguardano l’intero prospetto annuale, e richiedono la messa a disposizione di tutti i documenti necessari per appurare la veridicità della dichiarazione: estratti conto, assegni, ricevute e addirittura scontrini e lettere che attestino eventuali donazioni.
Comey e la moglie, scrive il New York Times, hanno sostenuto spese contabili e legali per circa cinquemila dollari per fornire tutta la documentazione, e il funzionario dell’Irs che ha condotto l’ispezione ha lavorato sul caso per un totale di 50 ore, chiedendo anche incontri dal vivo con il fiscalista della famiglia. I controlli sono stati così approfonditi da richiedere anche la documentazione relativa all’acquisto di articoli da ufficio fino a due anni prima dell’avvio del procedimento.
L’ipotesi di una strumentalizzazione politica dell’Agenzia, secondo il quotidiano, sarebbe poi avvalorata dal fatto che solo pochi mesi dopo sono stati avviati controlli analoghi anche sulla dichiarazione dei redditi di Andrew McCabe, vice di Comey quando era direttore dell’Fbi e anche lui accusato di tradimento da Trump perché non sopprimeva le indagini sui suoi presunti contatti con Mosca.

L’Agenzia, il cui capo, Charles Rettig, è stato nominato proprio da Trump, mantiene uno stretto riserbo sulle metodologie utilizzate per selezionare le dichiarazioni dei redditi da controllare. “Il commissario Rettig non è coinvolto in alcun modo nella gestione di casi specifici: durante il suo mandato non ha avuto contatti con le amministrazioni presidenziali di Trump e Biden su questi temi, e ha sempre svolto il suo incarico nella maniera più imparziale possibile”, ha scritto una nota dell’Agenzia.
In un altro capitolo della controversa gestione dell’amministrazione pubblica da parte dell’ex presidente il senatore repubblicano Lindsey Graham, stretto alleato di Trump, si trova nel mezzo di un’indagine penale nello stato della Georgia legata alle interferenze politiche esercitate dalla Casa Bianca e dagli alleati dell’ex presidente, nelle elezioni presidenziali del 2020 che Joe Biden ha vinto ottenendo 12.670 voti più di Trump.
Il District Attorney della contea di Fulton, Fani Willis, ha convocato il senatore Graham per essere interrogato dal grand jury per capire i motivi per cui fece due telefonate al Segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, il massimo funzionario elettorale dello Stato. Raffensperger ha detto al Washington Post di essere rimasto sbalordito dal fatto che il presidente della Commissione Giustizia del Senato gli suggerisse di trovare un modo per annullare alcune schede elettorali. Gli avvocati di Graham si sono opposti alla richiesta sollevando la prospettiva di una lunga battaglia legale.
Anche Rudy Giuliani, l’avvocato personale di Trump, così come altri avvocati alleati di Trump – John Eastman, Cleta Mitchell, Jenna Ellis e Kenneth Chesebro – hanno ricevuto l’ordine di convocazione davanti al grand jury.