Il presidente statunitense Joe Biden ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina che include sistemi missilistici di precisione potenzialmente in grado di colpire il territorio russo, suscitando l’ira di Mosca.
La misura è stata comunicata dall’inquilino della Casa Bianca in un editoriale pubblicato sul New York Times, nel quale Biden ha però chiarito che l’invio del nuovo equipaggiamento non costituisce in alcun modo un incoraggiamento o un’approvazione per eventuali attacchi ucraini sul suolo russo. “Ci stiamo muovendo velocemente per fornire all’Ucraina una quantità considerevole di armi e munizioni, così che possa combattere sul campo ed essere nella posizione più vantaggiosa possibile al tavolo dei negoziati”, ha scritto Biden.
Il pacchetto completo di aiuti militari-finanziari si aggira sui 700 milioni di dollari e include per la prima volta il Multiple Launch Rocket System (Mlrs), un sistemi di missili a medio e lungo raggio capace di lanciare sino a 300 km di distanza. Tra gli altri strumenti figura l’Himars, una versione più leggera del Mlrs ma capace di sparare lo stesso tipo di munizioni, oltre a missili anti-carro Javelin, missili anti-aereo Stinger, munizioni per l’artiglieria, elicotteri, radar, droni, e caccia Mi-17.
Quest’ultima tranche di 700 milioni di spese militari per equipaggiare le truppe di Kyiv si aggiunge ai circa 40 miliardi già approvati qualche giorno fa dal Congresso. La strategia della Casa Bianca è stata ribadita da Biden nel suo commento: nessun passo indietro sulle sanzioni, definite “le più dure imposte su un’economia di grandi dimensioni”; rifornimento continuo dell’esercito ucraino; misure per rimediare alla crisi alimentare globale; sostegno alle economie europee per ridurre la dipendenza dalle fonti russe, e rinforzamento del fianco nord-orientale della NATO.
Tuttavia, il capo di Stato USA ha altresì tenuto a chiarire le regole d’ingaggio, per non indispettire troppo il Cremlino. Biden ha rassicurato che Washington non interverrà direttamente nel conflitto né promuoverà un regime change al Cremlino. La motivazione: “Non vogliamo una guerra con la Russia“. Secondo la Casa Bianca, Putin deve pagare le conseguenze della sua aggressione, ma “non vogliamo proseguire la guerra solo per infliggere dolore alla Russia”. Per questo motivo ai comandi ucraini è stato chiesto di non attaccare in territorio russo.

Nelle stesse ore in cui Biden annunciava l’ultimo pacchetto di aiuti a Kyiv, faceva altrettanto il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Il leader socialdemocratico ha infatti informato il Bundestag dell’imminente invio di sistemi radar e missili terra-aria IRIS-T SLM – le più moderne armi di difesa aerea attualmente negli arsenali di Berlino.
La reazione del Cremlino ai rifornimenti occidentali è stata comprensibilmente dura. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha definito le mosse statunitensi come un “voler mettere deliberatamente e diligentemente benzina sul fuoco”. D’altro canto, però, Peskov, non ha eslcuso la possibilità di un futuro vertice tra Putin e Zelensky, ma chiarendo che il summit potrebbe avvenire “soltanto per la firma di qualche tipo di documento”.
Più tardi è stata la volta del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. Il capo della diplomazia moscovita ha avvertito gli Stati Uniti che l’invio di missili occidentali a Kyiv “rischia di trascinare l’Occidente nel conflitto”. Lavrov ha poi citato le parole di Scholz sull’ambizione tedesca di diventare “la principale forze militare UE” come una prova che Berlino “è tornata ad avere aspirazioni di dominio”.
Poco dopo l’annuncio di Biden, le autorità russe hanno dato notizia di star conducendo esercitazioni nucleari attualmente nella regione di Ivanovo, a 300 km da Mosca. Ivi sarebbero coinvolti circa un migliaio di uomini e più di 100 mezzi, tra cui il missile balistico intercontinentale Yars. Nel suo editoriale, Biden si era detto scettico sulla possibilità che Mosca decida di usare l’arma nucleare, lanciando però un monito: “Qualsiasi uso di armi nucleari su qualsiasi scala sarebbe completamente inaccettabile (…) e comporterebbe gravi conseguenze”.
Intanto a Washington è arrivato ieri il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, che terrà colloqui con il segretario di Stato Antony Blinken e quello alla Difesa Lloyd Austin fino a giovedì. Nelle prossime settimane lo stesso Austin potrebbe incontrare il suo omologo cinese Wei Fenghe al margine del Shangri-La Dialogue, conferenza annuale che riunisce i principali policymakers nel campo della difesa.

Sul campo, intanto, proseguono i duri combattimenti nella regione orientale del Donbass. Da qualche giorno, l’epicentro del conflitto è divenuta la città di Severodonetsk, che prima dello scoppio del conflitto contava circa 100.000 abitanti. I russi sarebbero in controllo del 70% dell’area urbana, secondo quanto riportato dal governatore della regione di Luhansk Serhiy Haidai. La caduta del centro urbano sarebbe ormai imminente, stando a quanto riportano diverse fonti. Proprio a Severodonetsk, mercoledì uno strike aereo russo avrebbe provocato danni a un impianto chimico e la fuoriuscita di acido nitrico.
La conquista di Severodonetsk consentirebbe al Cremlino di raggiungere uno degli obiettivi bellici prefissati lo scorso 24 febbraio, ossia il controllo della provincia russofona di Luhansk, contesa da ucraini e filorussi dal 2014. Severodonetsk e la città confinante di Lysychansk (attualmente in mani ucraine) rimangono infatti gli ultimi due baluardi di resistenza ucraina nella regione, superati i quali Mosca otterrebbe un controllo pressoché totale della zona nord-orientale del Donbass e, potenzialmente, annetterla de jure al territorio russo.