Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire.
Ripensando alle parole del filosofo francese Jean-Paul Sartre quello che questa guerra, ennesima ed assurda, ci sta facendo vedere conferma questa sua profonda riflessione. Rivedere le immagini di donne e bambini in fuga, e poi cadaveri abbandonati, persone che inseguono un pasto. Sapere di donne violentate, di corpi seviziati ci fa sentire dentro un tunnel più lungo di quello della pandemia. Immagini che non vorremmo vedere mai. E invece scorrono in ogni del giorno nei tg, ci arrivano sugli smartphone, mentre i grandi del mondo lanciano accuse e minacce.
Noi inermi spettatori sappiamo che questa guerra ci riserva ben altre sorprese. Siamo nell’era della Cyberguerra e del Doxing. Ho letto con molta attenzione cosa gli esperti ci hanno rivelato e spesso sono stato chiamato a dibattere in tv su queste nuove dimensioni, prima fra tutte quello dell’uso delle fake news come armi strategiche.
Ma andiamo alla cyberguerra. L’ingegner Riccardo Petricca in un suo intervento ci ha rivelato come: “Oggigiorno le guerre si combattono su più fronti e non soltanto su quelli storicamente tradizionali, quali specificamente politico, militare e bellico, con mezzi sempre più sofisticati e distruttivi (fucili, carri armati, navi, aerei, finanche droni). C’è infatti ormai anche un fronte di combattimento economico, tanto che si parla di guerra economica, come quella che si sta purtroppo vedendo in Ucraina, con applicazione di sanzioni; già da più di qualche decennio, comunque, si combatte anche sul fronte informatico e il fenomeno è noto come cyberwar”.
Una guerra in cui le tecnologie elettroniche e informatiche e i sistemi di telecomunicazione sono diventati indispensabili come nella vita di tutti i giorni.
Ma quali sono le tre tipologie di attacchi tipici di una cyberwar? Sempre secondo l’esperto:
“Il primo tipo di attacco di una cyberwar è quello alle infrastrutture critiche, ossia ai servizi energetici, idrici, di combustibili, delle comunicazioni, commerciali, sanitari (ospedali, cliniche, ASL, ecc.), ma anche ai trasporti, (porti, aeroporti, autostrade, tram, metropolitane, ecc.).
C’è poi il vandalismo web che consiste in attacchi volti a modificare o cancellare interi siti o anche solo delle singole pagine web oppure a rendere temporaneamente inagibili i server. Si passa quindi all’intralcio delle apparecchiature militari che utilizzano computer e satelliti per coordinarsi.
Un attacco che si potrebbe considerare anche tradizionale è quello che riguarda la raccolta dati, ossia la raccolta di informazioni riservate per essere intercettate e modificate, rendendo così possibile lo spionaggio. Infine, si è particolarmente sviluppata e ha preso piede soprattutto negli ultimi anni la propaganda di messaggi politici che possono essere spediti o resi disponibili in rete per una guerra psicologica, strettamente collegata al fenomeno delle fake news”.
C’è un solo modo per gli esperti di tutto il mondo, sempre secondo Petricca: “per affrontare i cybercriminali e difendersi da ogni tipo di pericoloso attacco informatico è comunque necessario invertire la logica con la quale si sono affrontati questi problemi finora e soprattutto capire che bisogna investire seriamente in cybersicurezza sia a livello pubblico che privato. La cybersicurezza non è una spesa ma un investimento”.
Quindi oltre a investire sulle armi gli Stati non devono avere alcuna esitazione perché questa nuova offensiva può mettere in ginocchio popolazioni e continenti.
Huffington post riprendendo invece un’inchiesta di Wired ci fa riflettere su un altro fenomeno molto preoccupante nelle ultime ore: “nomi, date di nascita, numeri di passaporto. I dati sensibili dei soldati russi coinvolti nella guerra sono diventati di pubblico dominio. Ma a pubblicarli non sono stati gli hacker, ma i servizi segreti ucraini”.
“Nella lista, presumibilmente, ci sono 1.600 militari russi che hanno tenuto sotto assedio Bucha, città nei dintorni di Kiev dove sono stati massacrati e in alcuni casi torturati centinaia di civili. E poi c’è una lista di 620 spie dell’Fsb di Mosca. Tutti dati accessibili online a chiunque lo desiderasse. “
Dati su dati che servono per alimentare una gogna mediatica funzionale a fare “rumore” sulla rete.
“Da quando è scoppiato il conflitto, sono stati messi sul web una valanga di dati che, secondo Wired “sono di due tipi: informazioni pubblicate dalle autorità ucraine o dai loro alleati e informazioni ottenute da hacker attivisti. Entrambi gli elenchi di presunti ufficiali dell’Fsb e delle truppe russe sono state messe online dalla Central intelligence Agency dell’Ucraina, rispettivamente alla fine di marzo e all’inizio di aprile”.
C’è chi però ha trovato un lato utile di questo nuovo fenomeno. Le liste, se attendibili, serviranno per capire chi ha commesso crimini di guerra.
Come ha scritto Oriana Fallaci indimenticabile inviata di guerra: “non chiedere chi ha vinto: non ha vinto nessuno. Non chiedere chi ha perso: non ha perso nessuno. Non chiedere a cosa ha servito: non ha servito a nulla. Fuorché ad eliminare creature fra i diciotto e i trent’anni”.
Già, morti su morti e capitali spesi per uccidere e fare del male. Quando tutti eravamo convinti che la pace non poteva essere messa in discussione.
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