Forse non ci rendiamo conto del tutto, in questi giorni pieni di notizie e di immagini, del fatto che la guerra in Ucraina sta veramente mettendo fine alla cultura del Novecento. A quella cultura in cui molti di noi sono nati e di cui si sono nutriti fino a questo momento.
La guerra sta mettendo fine al mito della globalizzazione.
La fluidità va bene, ma i confini contano. Per i confini siamo pronti a batterci e a morire. I confini dell’Ucraina sono oggi anche i nostri confini e il mondo si sta spezzando a partire dalla frattura tra Ucraina e Russia, come un vetro nel quale le crepe si estendono e si irraggiano. Sanzioni, espulsioni, confische, rapporti economici e diplomatici interrotti, territori di un popolo chiusi a un altro popolo. Per la prima volta anche i ricchi – i protagonisti assoluti della globalizzazione – sperimentano cosa vuol dire essere identificati con una terra e una nazione.
La globalizzazione è stato un mito così straordinario negli ultimi anni che oggi non sappiamo più se maledirla o benedirla. È un bene o un male che una parte dell’Europa (tra cui l’Italia) dipenda dal gas Russo? È un bene o un male che i rapporti economici, sociali, umani si siano stretti tra popoli oggi in mutua diffidenza reciproca (non ancora in guerra per fortuna) e che sia così difficile scinderli?
E poi, oltre al tema dei confini, sta cambiando il rapporto tra fatto e interpretazione. Il Novecento è stato il tempo in cui il fatto è scomparso. Ci hanno detto i grandi pensatori del secolo scorso che il fatto non esiste, esiste solo l’interpretazione che lo ricrea. Ma oggi, chi si sente più di sostenere questa tesi? Chi si sente di dire – di fronte ai fatti che i reporter ci mandano dalla martoriata terra d’Ucraina – che la guerra è sempre stata così, che l’Ucraina non meno della Russia fa propaganda, che i fatti non esistono, e che ognuno dei due contendenti li trasforma a suo vantaggio?
Forse è vero che la guerra è sempre stata così, ma questa è la prima volta che la vediamo così da vicino, così bene, così chiaramente. L’Ucraina si è aperta ai reporter e i fatti esistono, e chi li contesta produce una reazione di disgusto perché è malato o di malafede o di intellettualismo. È una persona del secolo scorso, quando – per qualche decennio – si poteva immaginare che fossero le parole a creare la realtà e non il contrario,
La guerra d’Ucraina ci riporta coi piedi per terra. Ci ricorda che esistono i popoli, le nazioni, i fatti e i confini. E che il mondo fluido che si è sognato nell’euforia della globalizzazione, è destinato a naufragare in se stesso se non ne tiene conto.