Finito il dibattito per la nomina di Ketanji Jackson Brown alla Corte Suprema si aspetta il voto. La commissione Giustizia del Senato, composta da 11 democratici e 11 repubblicani, sta esaminando se confermare o respingere la candidata scelta dal presidente Joe Biden per sostituire alla massima corte federale il giudice Stephen Bryer che ad agosto compirà 84 anni e vuole andare in pensione. Data la composizione della Commissione è dato per scontato che il voto finirà in un pareggio. Si sarebbe dovuto votare di prima mattina, ma c’è stato un rinvio perché il senatore Alex Padilla, che è membro della commissione, per problemi di aereo non si è presentato al Senato. Una pausa forzata che ha permesso ai senatori di lanciare bordate di critiche (repubblicane) e lodi (democratiche) sull’operato di Ketanji Jackson Brown.
Dopo il voto della Commissione la decisione passerà al Senato, che è equamente diviso 50/50 tra i due partiti, ma ai democratici si è aggiunta la repubblicana Susan Collins e per le nomine dei giudici federali basta la maggioranza semplice. Inoltre non è detto che nei prossimi giorni, prima del voto al Senato, qualche altro senatore repubblicano moderato non si aggiunga alla striminzita maggioranza.
Nonostante lo scontato passaggio della nomina l’opposizione non ha rinunciato al “teatrino” politico offerto dai canali all news e così senatori che solo pochi anni fa hanno sostenuto e approvato la nomina di Ketanji Jackson Brown per due volte, la prima come giudice federale ordinario, la seconda come magistrato d’appello, ora davanti alle telecamere hanno cancellato il loro passato sostegno e l’hanno accusata di tutto. E’ il caso del senatore Lindsey Graham. O altri, come Ted Cruz, la hanno accusata di cose non dette e non fatte come quella di essere una sostenitrice della Chritical Race Theory (CRT) la tesi sul razzismo sistemico connaturato anche incosciamente tra i bianchi americani per cui viene penalizzata la comunità non bianca passando leggi, provvedimenti, assegnazione di benefici a svantaggio di quella nera. Una tesi maturata nel think tank della Brookings Institution che sostiene che la comunità bianca è razzista anche senza saperlo. Una teoria sia ben chiaro lanciata provocatoriamente da un gruppo di sociologi neri. Ma tanto è bastato a coalizzare la destra americana.
Ketanji Brown è nata nel 1970 a Washington, DC. La famiglia si trasferisce a Miami in Florida quando lei ha 5 anni. Il padre è l’avvocato del sistema scolastico pubblico della Contea Miami-Dade. La madre Ellery, dirigente scolastica della New World School of the Arts, un centro di eccellenza per le arti visive. Il fratello Ketajh, veterano di guerra in Iraq, è un giovane avvocato a Chicago della gigantesca ditta legale K&L Gates. Il fratello della madre, Calvin Ross, è stato il capo della polizia di Miami.
Per Ketanji Brown Jackson l’attività forense è cominciata alla High School, quando vinse il premio in oratoria nel campionato dei dibattiti del National Catholic Forensic League di New Orleans. Il passo ad essere accettata ad Harvard è stato breve. Si laurea in sociologia. Nella prestigiosa università prende anche lezioni di improvvisazione teatrale, un suo compagno di classe è Matt Damon. Lavora anche come ricercatrice per alcune testate giornalistiche. Nel 1992 si laurea magna cum laude con una tesi dedicata all’oppressione e alla complessità dei fatti giudiziari, uno dei temi di base della sua carriera. Nel 1996 si laurea alla Law School di Harvard e sposa il chirurgo Patrick Graves Jackson con cui ha due figlie: Leila e Talia.
Prima di essere nominata magistrato federale ha fatto l’assistente legale al giudice della Corte Suprema Stephen Breyer, ma ancora prima era stata avvocato d’ufficio, public defender, confrontandosi con la realtà spicciola del sistema giudiziario americano in cui era anche finito uno zio, Thomas Brown, il fratello più grande del padre. Spacciatore tossicodipendente arrestato 3 volte in Florida negli anni Ottanta per possesso di droga il quale per la legge che punisce la recidività di un crimine, venne condannato all’ergastolo. “Una condanna sproporzionata rispetto al crimine commesso” scrive il Washington Post, per la quale Kentaji Brown Jackson si battè a lungo prima di venire nominata magistrato federale e che affidò alla ditta legale Wilmer Hale, specializzata per ottenere perdoni e atti di clemenza giudiziaria. Il perdono fu concesso dall’ex presidente Obama. Questa vicenda è stata più volte sollevata dai senatori repubblicani durante le audizioni.
Ad inizio mandato Joe Biden l’ha nominata alla Corte d’Appello Federale di Washington, e venne approvata dalla Commissione Giustizia del Senato. Ora, dopo la conferma, sarà la più giovane tra i nove membri della Corte e garantirà ai Democratici di avere a lungo un giudice progressista. E sarà anche la sesta giudice donna a ricoprire l’incarico dopo Sandra Day O’Connor, Ruth Bader Ginsburg e le tre colleghe attualmente in carica, Sonya Sotomayor e Elena Kagan (nominate da Obama) e Amy Coney Barnett (nominata da Donald Trump), nonché terza nera dopo Thurgood Marshall negli anni Sessanta, e Clarence Thomas, nominato da George W. Bush.