Girata e diretta da Mauro Aragoni, la nuova e travolgente serie televisiva That Dirty Black Bag riporta sugli schermi la tradizione western all’italiana conosciuta internazionalmente anche come spaghetti western. Tra i protagonisti c’è anche l’attore italiano residente a New York, Jacopo Rampini, (già in Halston, FBI, Law & Order, Medici: Masters of Florence).
La première, uscita il 10 marzo esclusivamente su AMC+, e poi su Amazon Prime Video, ha già riscontrato successi a livello nazionale. Prodotta dalla Palomar (Italia) e da BRON Studios (Canada), la serie è riuscita a raccogliere talenti statunitensi, inglesi, francesi, australiani e italiani.
Nato a Roma nel 1986 e cresciuto fra l’America e l’Italia, Jacopo porta con sé un bagaglio culturale ampio e rilevante nella sua ricchezza cosmopolita di culture, lingue ed esperienze cinematografiche fra due continenti. In That Dirty Black Bag, l’attore interpreta il ruolo di Jona, che insieme ad altri cowboys, criminali e fuggitivi, si fanno valere nel mondo del Far West.

La serie è stata girata da Aragoni tra marzo e giugno 2021. Regista sardo attivo nella scena italiana, (classe 1988), ha creato questa serie tratta da una sua passione personale per il genere western, nello specifico per i lavori di Sergio Leone (con l’indimenticabile Clint Eastwood) e Sergio Corbucci. Gli anni Sessanta e Settanta sono stati il periodo d’oro per questo genere in Italia, ma la loro produzione negli anni non si è fermata. Aragoni ha dimostrato di essere uno dei nuovissimi talenti a portare sui grandi schermi una serie prodotta da due case cinematografiche riconosciute a livello internazionale, mettendo in gemellaggio Paesi, culture, paesaggi e persone.
Con La Voce di New York, Jacopo ha condiviso storie e aneddoti sulla sua esperienza insieme ad importanti attori e ambienti suggestivi.
Com’è stato lavorare con Mauro Aragoni?

“E’ stato interessante. Prima di questa serie, Mauro è riuscito a girare un cortometraggio in Sardegna con dei cowboys sardi e poi ha fatto girare il suo film (S’Arena: A Tale from Nuraghes, 2016) a vari festival internazionali. Da questo progetto insieme al suo team è riuscito a farsi finanziare la serie che è diventata un colossal rispetto al progetto iniziale. Lo ammiro tanto. Chapeau. Mauro ha un gusto particolare per lo stile americano, ma anche con il suo lato sardo, rooted in Sardinia. Il western in Sardegna e in generale nel Meditteraneo è interessante perché ci sono molti paesaggi che assomigliano proprio a quelli dei western classici Americani”.
La geografia è uno degli elementi più importanti per il genere spaghetti-western. That Dirty Black Bag è stata girata tra Italia, Spagna e Marocco. Tutti spazi simili a quelli del South-West americano. Qual è la location che ti è piaciuta di più?
“Ci sono delle belle scene di inseguimenti sulle dune del Marocco, ma non ho girato alcuna scena lì per il mio ruolo. La Spagna è interessante perché c’è questo set ad Almeria che si chiama Mini Hollywood che è rimasto intatto a sud della Spagna, dove ci sono queste grandi montagne che assomigliano al Gran Canyon. Lí hanno lasciato il set per alcune scene di Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone e alcuni film di Indiana Jones. E’ stato pazzesco e surreale, molto suggestivo. In Puglia ho girato in set interni a Bari e all’esterno a Lecce”.
Parliamo di identità culturale. Abbiamo a che fare con un genere di film che tocca due culture e mondi diversi, un po’ come te, nato e cresciuto fra Italia e Stati Uniti. Come vedi questo aspetto culturale, dal personale al campo lavorativo?

“Quando sono negli Stati Uniti mi sento italiano, quando sono in Italia mi sento americano. Mi piace il dualismo che vivo e anche la mancanza di una definizione vera e propria di chi sono. Ci sono delle persone che sono bi-culturali o anche tri-culturali, ma è una minoranza che va ancora studiata per essere spiegata al meglio. Non sono un Robert De Niro o un Martin Scorsese. Non mi sento italo-americano, ma condividiamo questi due Paesi. Forse sarebbe meglio parlare di italiani-americani, se si potesse usare questo termine. Molti americani non hanno sentito dire degli “spaghetti western”, ma ne rimangono comunque poi affascinati. Se si pensa a Sergio Leone che ha creato un genere e con questo ha lanciato talenti come Tarantino, Morricone, questa sorta di legame culturale e legacy cinematografica è interessante”.
Secondo te questo genere ha un futuro in America?
“In realtà escono parecchi western in America, adesso va di moda. Per quanto riguarda gli spaghetti-western invece è un tutt’altro mondo. Negli spaghetti-western c’è della comicità e c’è dello splatter. Secondo me il punto di forza di questa serie sta anche in questo elemento di throwback, questo tono nostalgico di qualcosa che è sparito, un po’ come questo genere italiano con un background americano”.
Com’è stato lavorare sul set del That Dirty Black Bag?
“Su questo tipo di progetto mi trovavo a mio agio perché sul set si parlava più lingue. C’erano attori italiani, inglesi, americani, australiani, francesi. Ci siamo trovati in questa dualità di lingue e culture, con tutte persone bilingue. Sono diventato molto amico di Eugene Rock (Wonder Woman), condividendo le nostre esperienze di vita e lavorativa in California. Il suo personaggio non parla, ma è molto suggestivo negli sguardi e movimenti che gli sono stati assegnati. Quando ci siamo ritrovati a Roma in un momento di pausa della produzione gli ho fatto un po’ da cicerone nella Città Eterna. E’ stato interessante vedere le reazioni degli italiani nei confronti di Eugene, data la statura di oltre due metri e il suo background di nativo americano. C’era anche Guido Caprino (I Medici) con cui mi sono trovato molto bene sul set”.
Il COVID ha lasciato un segnato il mondo del cinema e i calendari di molte produzioni televisive. Hai notato delle differenze sul set, su come si sta lavorando in un periodo “post-pandemia”?

“Prima di fare questo western durante la pandemia ero a New York e ho partecipato ad una serie di Netflix, Halston con Ewan McGregor. Con il fatto della pandemia hanno dovuto ridurre tantissimo le presenze in loco presso i sets. Nonostante la mia parte fosse stata minuscola, l’hanno tenuta e sono riuscito a fare parte di quella produzione, con tutte le complicate e ripetitive misure di protezione da seguire. Per That Dirty Black Bag in Italia la situazione sul set le misure erano sempre ben controllate e forse anche un po’ più agevolanti. Il motivo per cui le case di produzioni americane non sono riuscite a ripartire all’inizio e’ stato per le assicurazioni, mentre in Italia non ci sono le Unions e le procedure sono state un po’ diverse”.
Cos’altro sei riuscito a notare in questa produzione? C’è qualcosa che ti è rimasto impresso?
“Un messaggio di speranza dall”Italia. Vedere un regista così giovane che è riuscito a far venire in Puglia un team di attori ed attrici famosi da tutto il mondo tramite una solida coproduzione è molto incoraggiante per il futuro dell’Italia, nel cinema e nella televisione. Abbiamo delle menti che sono capaci di fare cose straordinarie a livello internazionale e soprattutto così giovani. E rivedere questa cosa mi ha rilanciato nello scrivere una serie, per conto mio. Vedere come lui sia riuscito a prendere in mano il suo lavoro mi ha spinto a riprendere questo mio progetto. Mauro ha ispirato tanto e dato molta speranza, per il mio lavoro e l’industria italiana”.
Discussion about this post