È molto inquietante sapere che dietro i discorsi di Volodymyr Zelens’kyj, già applauditi dai tre parlamenti – come ipnotizzati – di Stati Uniti, Regno Unito e Germania, ci sono gli sceneggiatori della serie TV satirica che lo ha reso famoso. Una squadra affiatata che organizza le giornate di Zelens’kyj e che sa come usare i social per raccogliere consenso, motivare e rimescolare gli equilibri geopolitici. Una squadra bravissima che è riuscita a trasformare un attore in un presidente e in un eroe.
Volete diventare anche voi attori di questo reality? Io no. Spero neanche il mio parlamento, perché non pare esserci lieto fine in questa storia. Soprattutto, non è chiaro cosa ci sia nella testa di questo esperto staff di comunicazione che sforna video manipolati con le bombe che cadono su Parigi per farci avere paura, non bastasse quella che già abbiamo; mette la musica su un sapiente montaggio che alterna immagini di normalità e di distruzione, bambini che giocano e cadaveri di piccoli innocenti per farci inorridire; produce a raffica video di Zelens’kyj che si rivolge al mondo camminando tra le macerie di alcune zone di Kiev per farci dire che è un eroe.

È tutto vero, ma è anche tutto costruito con grande sapienza. Nulla è lasciato al caso: l’abbigliamento del presidente, sempre in maglietta verde militare; i suoi gesti; il suo pugno alzato; il suo guardare la telecamera come solo un attore consumato sa fare; le sue parole selezionate con cura, e diverse a seconda dei parlamentari stranieri a cui si rivolge; i messaggi di resistenza ai coraggiosi ucraini che combattono.
Zelens’kyj e il suo staff sanno fare molto bene comunicazione, ma una guerra vera è cosa diversa di una serie TV. Va maneggiata con cura e non da sceneggiatori televisivi. Quelli vanno bene per Netflix, ma nella vita reale – quando ci sono in gioco i destini del mondo e i nostri destini – serve muoversi con altri strumenti. La diplomazia silenziosa è la strada, il dialogo tra capi di Stato che si parlano e non si insultano è la soluzione. Eppure tutti paiono condizionati se non prigionieri di una emotività scatenata e riaccesa con effetto da un video o da un discorso quotidiano ad effetto del presidente ucraino.
Persino lo scafatissimo Biden si è lasciato andare a un linguaggio contro Putin inimmaginabile prima di questa guerra vissuta sui social. Tutto è sopra le righe, persino paradossale, mentre la violenza dilaga, le bombe cadono e tre milioni di ucraini scappano. Ogni giorno appare come un nuovo tragico episodio della serie, deciso a tavolino anche dagli sceneggiatori in perenne campagna mediatica. Sembrano tutti più ipnotizzati dalle gesta di Zelens’kyj, preoccupati delle sue richieste che ci porterebbero dritti dentro la terza guerra mondiale.
Parlamentari, giornalisti, abitanti del pianeta paiono tutti prigionieri inconsapevoli di questa trama decisa nelle stanze di Zelens’kyj. Molti giornali si avventurano addirittura in paragoni tra la meravigliosa macchina di guerra della comunicazione di Zelens’kyj e l’inadeguatezza di quella di Putin, che ha scatenato per primo questo orrore e poi ne ha perso il controllo mediatico.

Stiamo attenti, perché questo continuo giocare sull’emotività potrebbe portarci nel baratro. Il 22 marzo toccherà al nostro Parlamento ascoltare le parole che gli sceneggiatori della serie faranno pronunciare a Zelens’kyj. Chissà quali corde toccheranno per avere anche la standing ovation italiana. Al Congresso Usa hanno ricordato Pearl Harbor e Martin Luther King, agli inglesi hanno citato Shakespeare e Churchill, ai tedeschi lo spettro del muro berlinese.
A noi cosa toccherà? Ai parlamentari italiani vorrei ricordare che nelle loro mani c’è la nostra vita. Serve sangue freddo, molta razionalità, tanto studio, e una guerra mondiale da evitare. E niente serie TV – distraggono.