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Trump e i documenti presidenziali buttati nello sciacquone della Casa Bianca

Secondo le fonti di un libro della giornalista del NYT Maggie Haberman; intanto Biden tormentato dall'inflazione e dall'arrivo della protesta dei camionisti

Massimo JausbyMassimo Jaus
Trump e i documenti presidenziali buttati nello sciacquone della Casa Bianca

La copertina del libro di Maggie Haberman

Time: 6 mins read

Non è un segreto che Donald Trump e i suoi più stretti collaboratori, quando erano alla Casa Bianca, non seguivano le regole imposte dalla carica che occupavano. Il Presidential Records Act impone ad ogni occupante della Casa Bianca di preservare tutti i promemoria, documenti, registri delle telefonate, e altri tipi di comunicazioni avuti con il presidente considerati proprietà storiche del popolo americano. Ciò nonostante l’ex presidente  usava il suo cellulare personale per chiamare gli amici, (ma anche alti funzionari russi) e mandare i suoi frenetici tweet. Ivanka e Jared usavano le loro e-mail personali così come Steve Bannon e Stephen Miller. Tutto questo dopo che durante la campagna elettorale avevano accusato Hillary Clinton di aver usato le sue email personali. E l’ex presidente, secondo Maggie Haberman, la corrispondente del New York Times dalla Casa Bianca, a forza di strappare i documenti e buttare pezzi di carta nello sciacquone del bagno ha otturato più volte lo scarico.  Rivelazioni contenute in un nuovo libro sull’ex presidente che arrivano proprio mentre i giornali continuano a scrivere delle casse di documenti che l’ex presidente avrebbe impropriamente portato via della Casa Bianca.

Maggie Haberman, lo scrive nel libro Confidence Man, di prossima uscita, affermando che lo staff della Casa Bianca era arrivato alla conclusione che era lo stesso Trump a buttare i documenti stracciati nella tazza poiché quel bagno veniva solo usato da lui. Questa mattina Maggie Haberman ha confermato alla Cnn la vicenda, dicendo che sono state fonti della Casa Bianca a raccontargliela. “Più volte è stato chiamato l’idraulico che trovava dei pezzi di carta che otturavano lo scarico”, ha detto Haberman, spiegando che si poteva trattare di post o di “note scritte da lui stesso”.

L’allora Presidente Donald Trump nello studio Ovale della Casa Bianca: si nota Steve Bannon, al centro con la cravatta gialla, quando era ancora il consigliere speciale  (Foto White House)

Con una dichiarazione dal suo Save America PAC, Trump ha affermato che la cosa “è categoricamente non vera ed inventata da una cronista per fare pubblicità ad un libro solo pieno di finzioni. La rappresentazione data dalla stampa dei miei rapporti con i National Archives è fake news. E’ esattamente all’opposto: è stato un grande onore lavorare per aiutarli a preservare l’eredità di Trump” ha scritto l’ex presidente aggiungendo che “i documenti sono stati consegnati facilmente, senza conflitto ed in modo molto amichevole, a differenza di quanto riportato dai Media delle fake news”. “Si è trattato di una cosa di routine e non di un problema – ha concluso – Anzi, mi è stato detto che io non avevo nessun obbligo di consegnare questo materiale sulla base di diverse sentenze fatte negli anni”. Affermazione questa che va contro la legge sui record presidenziali.

Un’altra giornalista, Jennifer Jacobs, corrispondente dalla Casa Bianca per l’agenzia Bloomberg, ha affermato che quanto scritto da Maggie Haberman è “accurato al 100%” e che anche le sue fonti confermano che il personale ha trovato pezzi di carta strappati nei bagni e pensava che fosse stato Trump ha gettarli nel water.

I National Archives, che raccolgono, smistano e successivamente rilasciano i documenti presidenziali, hanno chiesto al Dipartimento di Giustizia di indagare se Trump abbia violato la legge quando ha portato i documenti a Mar-a-Lago scrive il Washington Post. Un altro segno della gravità delle violazioni viene dal New York Times che riporta che i funzionari hanno trovato possibili informazioni riservate nei documenti che poi Trump ha consegnato tardivamente. Secondo l’influente quotidiano nelle 15 casse di documenti prelevati nella casa di Trump a Mar a Lago non vi erano solo ricordi personali, come le “lettere d’amore” tra lui e il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, ma anche documenti che potrebbero essere top secret. La scoperta di questi carteggi ha spinto il National Archives a rivolgersi al dipartimento di Giustizia per esaminare le evidenti violazioni del Presidential Records Act. Molti documenti che erano stati stracciati dall’ex presidente e gettati nel cestino della carta straccia sono stati rimessi insieme con lo scotch tape dai funzionari della presidenza che erano a conoscenza delle regole del Presidential Record Acts e che li hanno “restaurati” e archiviati consegnandoli poi ai National Archives.

Altre incongruenze poi sono venute alla luce alla Commissione d’Inchiesta della Camera che indaga sull’attacco del 6 gennaio al Campidoglio che ha scoperto lacune nei registri telefonici ufficiali della Casa Bianca nel giorno del tentativo insurrezionale trovando pochi record di telefonate del presidente Donald Trump durante i drammatici avvenimenti in cui gli investigatori sapevano che l’ex presidente stava parlando al telefono. Gli inquirenti non hanno scoperto prove che documenti ufficiali siano stati manomessi o cancellati, ma è risaputo che Trump ha sempre usato il suo cellulare personale, e quelli dei suoi assistenti per parlare con i suoi alleati. Lo scarso numero delle telefonate “ufficiali” sono un altro ostacolo per stabilire ciò che Trump stesse facendo durante i momenti cruciali del tentativo insurrezionale. Gli inquirenti della Commissione d’Inchiesta sono ancora in attesa di ulteriore materiale dalla National Archives and Records Administration e dalle società di telecomunicazioni che sono state citate in giudizio per i registri personali dei cellulari della cerchia ristretta dell’ex presidente, come suo figlio, Eric, e Kimberly Guilfoyle, e Donald Trump Jr.  Finora i registri delle chiamate fatte alla Casa Bianca ottenuti dalla Commissione d’Inchiesta mostrano tantissime telefonate che venivano poi smistate ad altri, un modo usato da Trump durante la sua presidenza per aggirare il sistema, rendendo molto più difficile stabilire se e con chi il presidente stesse comunicando.

US President Joe Biden – ANSA/EPA/JIM LO SCALZO

Se l’ex presidente è in ambasce per la sua caotica gestione e per i suoi tentativi di coprire le tracce delle sue responsabilità per il tentativo insurrezionale, l’attuale inquilino della Casa Bianca non naviga in mari più tranquilli. Joe Biden non riesce a superare, almeno per ora, il periodo negativo che da mesi caratterizza la sua presidenza nonostante che l’economia sia in ripresa, il coronavirus in diminuzione e all’orizzonte si profila un ritorno alla normalità pre-pandemica. I sondaggi lo danno al di sotto del 40% della popolarità. Complice l’inflazione che si è portata al top da 40 anni: i prezzi al consumo lo scorso mese sono saliti al +7,5% ai massimi dal 1982. L’economia è alle prese con un’alta inflazione, causata da uno spostamento della spesa dai servizi ai beni durante la pandemia. Migliaia di miliardi di dollari in aiuti hanno alimentato la spesa che si è scontrata con i limiti di capacità della catena di approvvigionamento, la carenza di componenti e la mancanza di manodopera. Questa impennata dell’inflazione ha ridotto il potere d’acquisto delle famiglie e quindi eroso la popolarità del capo della Casa Bianca. Questo nonostante l’economia sia cresciuta al suo tasso più forte da 37 anni nel 2021 e il mercato del lavoro stia rapidamente creando nuovi posti. Da aggiungere che alcune case automobilistiche come Ford e Toyota hanno annunciato la chiusura temporanea delle loro fabbriche in Canada a causa delle proteste dei camionisti no-vax che stanno bloccando l’arrivo di componenti. Anche il gruppo Stellantis, che controlla Fiat Chrysler, ha annunciato ritardi nella produzione nella sua fabbrica in Ontario per la mancanza di pezzi.

I camionisti canadesi stanno bloccando da giorni l’Ambassador Bridge, il più importante valico di frontiera tra Stati Uniti e Canada, dove passa circa un quarto del commercio tra i due Paesi. Si stima che la paralisi del commercio stia costando 300 milioni di dollari al giorno. Questo blocco creato dai camionisti canadesi contrari ai vaccini, anche se il 90% di loro sono vaccinati, iniziata come una protesta professionale è diventata rapidamente una calamita per le lamentele di tutta l’estrema destra. La mobilitazione, che è per ora principalmente online, è sostenuta da influencer come Dan Bongino e Ben Shapiro, e politici di destra, tra cui l’ex presidente Donald Trump e la congresswoman Majorie Taylor Greene. Ma ha anche attirato l’attenzione di gruppi più estremisti, compresi i suprematisti bianchi statunitensi che hanno manifestato con tanto di bandiere confederate e svastiche naziste condividendo il loro sostegno alle proteste dei camionisti canadesi. Tanto che l’Homeland Security ha lanciato l’allarme che un convoglio di camionisti sarebbe pronto per causare il caos negli Stati Uniti e l’interruzione potrebbe iniziare già durante domenica prossima quando gli americani saranno in massa davanti la televisione per seguire il Super Bowl.

 

Trying again https://t.co/b8EP9PU8xn pic.twitter.com/yi6yOrPkKm

— Yoni Freedhoff 🟣, MD (@YoniFreedhoff) January 29, 2022

Lo scrive Yahoo News affermando che il Department of Home Security ha avvertito le forze dell’ordine di prepararsi per una versione imitativa delle proteste canadesi. “Il convoglio inizierà potenzialmente in California e arriverà a Washington a metà marzo, con un potenziale impatto sul Super Bowl previsto per il 13 febbraio e sul discorso sullo stato dell’Unione previsto per il 1 marzo” afferma un bollettino del DHS. Il documento aggiunge che “il convoglio potrebbe interrompere gravemente i trasporti, il governo federale e le operazioni delle forze dell’ordine attraverso ingorghi e potenziali contro proteste”. Un funzionario del DHS ha detto a Yahoo: “Seguiranno sicuramente il modello canadese e cercheranno di bloccare Washington”.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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