Sembra essere ormai ai titoli di coda l’alleanza tra l’ex presidente statunitense Donald Trump e l’attuale governatore della Florida, l’italoamericano Ron DeSantis. Entrambi membri di spicco del Partito Repubblicano, Trump e DeSantis sono legati da un rapporto di stretta fiducia e collaborazione politica fin da quando, nel 2017, “The Donald” puntò tutto sull’allora semi-sconosciuto congressista filo-trumpiano, affiancandogli un’imponente squadra di consulenti e media strategists per fargli vincere le elezioni nel Sunshine State.
L’endorsement di Trump si rivelò efficace, e da allora De Santis è entrato nel gotha dell’establishment GOP grazie alla retorica populista che strizza l’occhio ai no vax e ha reso la Florida un baluardo dell’opposizione alle restrizioni sanitarie (incluso l’obbligo di mascherina) per fronteggiare il Covid-19.
Qualcosa, però, si è incrinato negli ultimi mesi: i suoi più stretti collaboratori rivelano che Trump si senta come un Cesare accoltellato alle spalle dal proprio figlioccio politico, come un maestro messo in discussione dal discepolo. “Ho aiutato Ron DeSantis a un livello che nessuno ha mai visto prima,” ha detto l’ex magnate newyorkese in un’intervista a Jeremy W. Peters, autore del libro Insurgency: How Republicans Lost Their Party and Got Everything They Ever Wanted.
Il nodo del contendere sta tutto nelle “parole magiche” che Trump si aspettava di ascoltare da DeSantis pubblicamente – ovverosia l’intenzione del floridian a farsi da parte alle elezioni presidenziali del 2024 in caso di ricandidatura di Trump. Annuncio che non è arrivato, probabile avvisaglia della discesa in campo nazionale di DeSantis. Una circostanza che ha incrinato decisamente i rapporti tra i due ex sodali, che negli ultimi giorni hanno conclamato la rottura affidando ai media le rispettive frecciatine.

Intervistato da One America News, rete di riferimento della destra demagogica, Trump ha puntato genericamente il dito contro quei “politici” che si rifiutano di rivelare se abbiano ricevuto una terza dose del vaccino anti-Covid. “La risposta è ‘Sì’, ma si rifiutano di dirlo perché sono dei senzapalle,” ha detto l’ex presidente con un raro slancio pro-vax – e in un nemmeno troppo velato riferimento al governatore della Florida.
Qualche giorno dopo è arrivata, puntuale, la replica di DeSantis, che venerdì scorso è stato ospite del podcast conservatore Ruthless. L’ex militare di origini italiane ha detto di essersi pentito per non aver tenuto testa a Trump nella primavera del 2020, quando la Casa Bianca spinse per un rigido lockdown generale per contenere il coronavirus. Nel corso del programma, DeSantis ha inoltre rivelato di essere stato tra i primi a suggerire a Trump di bloccare i voli dalla Cina (come fatto dalla Casa Bianca il 31 gennaio 2020), pur ammettendo di non aver mai immaginato che il Covid-19 avrebbe potuto sortire un effetto così drammatico sul Paese.
Le rispettive dichiarazioni hanno agitato le acque del GOP. Ufficialmente, gli entourages di Trump e DeSantis negano che ci siano dissapori nascosti tra i due, bollando il tutto come una congettura dei media. Al di là delle smentite di facciata, però, si fa sempre più intensa la lotta di potere interna ai repubblicani, destinata a diventare sempre più evidente nella corsa alla Casa Bianca. Trump e DeSantis sono accomunati dalla retorica populista, ma la loro storia personale rivela diversità di fondo. A differenza di Trump, rampollo di una famiglia di immobiliaristi newyorkesi, DeSantis proviene da un contesto familiare molto meno borghese: sua madre era un’infermiera, suo padre un antennista, i suoi bisnonni emigrati italiani originari dell’avellinese.
Che i due siano diversi lo sanno anche Roger Stone, consigliere di lunga data di Trump, e Dan Eberhart, milionario finanziatore del GOP. Il primo ha riassunto così la diatriba: “Quel grassone laureato a Yale e Harvard non si vuole togliere di mezzo“, ha scritto sui social media, riferendosi al prestigioso curriculum del floridian, che in passato è stato inoltre tenente dell’esercito in Iraq. Secondo Stone, DeSantis “non è intelligente, non è onesto e non sarà presidente.” Meno polemico Eberhart: “(De Santis) è Trump ma un po’ più intelligente, più disciplinato e brusco senza essere troppo brusco.”
In un’ipotetica sfida nelle primarie repubblicane per la presidenza, una vittoria di Trump rimane però praticamente scontata. Lo certifica un sondaggio di Yahoo! e YouGov dello scorso dicembre, secondo cui il 44% degli elettori repubblicani sceglierebbe Trump per il 2024, contro il 23% che darebbe fiducia a DeSantis. È però indicativo come l’elettorato più abbiente e meno ortodosso sembrerebbe preferire il governatore della Florida: tra coloro che guadagnano più di 100.000 dollari al mese, DeSantis stacca Trump di ben 8 punti (36% a 28%), mentre tra gli indipendenti il vantaggio è più risicato (32% a 30%). Che Trump sia l’indiscusso leader del GOP lo dimostra peraltro un ancora più recente sondaggio di Reuters e Ipsos, a giudicare dal quale tra l’ex presidente e DeSantis ci sarebbe una distanza siderale di 43 punti percentuali (54% Trump, 11% De Santis).
Secondo un’indiscrezione di Axios, a sgombrare veementemente il campo da equivoci avrebbe pensato lo stesso Trump, liquidando freddamente DeSantis come un “ingrato” con “una personalità noiosa” che non ha alcuna possibilità di impensierire l’indiscusso leader GOP nel 2024.

A detta di alcuni insiders del Grand Old Party, dietro lo scontro Trump-DeSantis potrebbe esserci la mano dell’influente burattinaio Mitch McConnell, leader della minoranza repubblicana al Senato. I rapporti tra McConnell e Trump sono tesissimi almeno dal 6 gennaio 2021, quando una folla di manifestanti pro-Trump assalì il Campidoglio per contestare la vittoria dei democratici alle elezioni. In quell’occasione McConnell si aggiunse al coro di critiche contro l’ex presidente, che per tutta risposta lo definì “un vecchio corvo” e ne chiese la rimozione dalla leadership. Alcuni fanno notare come uno dei co-host di Ruthless, il podcast della discordia, sia John Holmes, consulente di lunga data proprio di McConnell. Un legame troppo debole per molti altri, anche tra i detrattori di Trump, che la ritengono una dietrologia fantasiosa che esalta oltremodo l’influenza del senatore repubblicano.
A 10 mesi dalle elezioni di midterm – che rischiano di rendere Biden un’anatra ancora più zoppa – e a 34 da quelle che stabiliranno il prossimo inquilino della Casa Bianca, è però chiaro come nel Partito Repubblicano sia iniziata la fase di confronto-scontro su Trump. Il quale, però, difficilmente sarà messo in discussione. A meno di rinnegare sé stessi e il recente passato.