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January 3, 2022
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January 3, 2022
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America sempre più divisa: 4 su 10 scontenti dello stato della democrazia

Il sondaggio di Washington Post e Università del Maryland: dem e repubblicani divisi (quasi) su tutto. E un terzo approva l'uso della forza contro le istituzioni

Gennaro MansibyGennaro Mansi
Global Security Experts Ask: “Was the Storming of The Capitol an Inside Job”?

Attack on Capitol Hill. January 6, 2021. (Wikimedia Commons)

Time: 3 mins read

È passato poco meno di un anno dalla clamorosa incursione armata al Campidoglio, compiuta da sostenitori di Trump mentre il Congresso si preparava a ratificare il risultato elettorale del 2020. Quel 6 gennaio ha segnato una delle pagine più nere della democrazia statunitense e della storia recente americana. Un capitolo da cui si fa ancora fatica a uscire.

A dimostrarlo è un sondaggio condotto dal Washington Post e dall’Università del Maryland su un campione di 1.1101 adulti, incentrato proprio sui drammatici eventi di inizio anno scorso. Un dato spicca su tutti: 4 intervistati su 10 non sono contenti dello stato della democrazia nel Paese, contro una sottile maggioranza del 54% che invece di chiara “molto soddisfatta” o “abbastanza soddisfatta”.

Il dato di fine 2021 costituisce il punto più basso degli ultimi ventennio, partito con una fiducia bipartisan nella democrazia a stelle e strisce al 90% subito dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, ma poi costantemente diminuito nel tempo (arrivando, nell’anno della proclamazione di Trump, al 63%).

Gran parte delle domande poste dagli intervistatori ha riguardato l’assalto al parlamento di Washington e il ruolo dell’ex presidente Trump nell’incitarlo. A credere che l’istrionico leader del GOP abbia quantomeno una “buona parte” di colpa è mediamente il 60% degli americani – che include la stragrande maggioranza dei democratici, ma appena il 28% dei repubblicani. Per il resto degli elettori del GOP, Trump ha “poche” o nessuna responsabilità nell’assalto.

Trump parla a sette giorni dall’assalto dei suoi sostenitori al Capitol, contro ogni forma di violenza nelle manifestazioni politiche

Le percentuali fanno il paio con un altro dato eloquente: più di un terzo degli intervistati ritiene che l’uso della forza in funzione anti-governativa sia “giustificato a volte”. A pensarlo è il 34% del campione analizzato – tra cui il 40% dei repubblicani, il 23% dei democratici e il 41% degli elettori indipendenti.

Tornando ai fatti del 6 gennaio, un contrasto netto si registra anche sulla loro qualificazione: per il 78% dei democratici si è trattato di un’incursione violenta. Non dello stesso avviso la maggioranza relativa dei simpatizzanti GOP, il 36% dei quali ha risposto che i manifestanti si sono comportati “perlopiù pacificamente” (qui il contrasto è soprattutto interno ai repubblicani: il 26% concorda infatti con i democratici sulla violenza dei facinorosi).

Passando alla causa scatenante dell’ira trumpiana – le ormai celebri “elezioni truccate” che avrebbero ingiustamente fatto vincere Biden –, la difformità di giudizio tra dem e repubblicani raggiunge il suo apice: l’88% dei democratici e il 74% degli indipendenti credono che le elezioni siano state regolari, mentre il 62% dei repubblicani crede che Biden abbia vinto con l’imbroglio. Di conseguenza, è il 58% dei repubblicani a credere che l’elezione dell’ex vicepresidente di Obama sia illegittima, contrariamente all’opinione dei rimanenti 7 americani su 10.

“Nope”, il 7 novembre 2020, le persone festeggiano la vittoria di Biden ed esprimono il loro dissenso per Trump, Wash Sq, NY (foto di Terry Sanders)

Come fa notare il Washington Post, tuttavia, la delegittimazione dei risultati elettorali altrui è una pratica bipartisan: all’indomani della sconfitta di Hillary Clinton nel 2016, era il 67% dei democratici a credere che Trump non fosse il presidente legittimo.

Non sorprende perciò che il 56% dei repubblicani e il 67% dei democratici non credono che gli esponenti politici dell’altra fazione accetteranno una sconfitta alle elezioni statali. Sull’elettorato attivo, i timori sono speculari: se la maggioranza dei repubblicani teme che il loro voto non venga contato, una rilevante fetta di democratici è preoccupata dagli effetti che gerrymandering e legislazione elettorale avranno sull’effettiva capacità di votare da parte di ogni cittadino.

C’è solo un dato di fatto su cui gli americani di ogni schieramento politico si trovano sostanzialmente d’accordo: l’81% dei repubblicani il 96% dei democratici (e l’84% degli indipendenti) ammette che nel corso dei disordini del 6 gennaio gli assalitori abbiano ferito agenti di polizia.

La sfiducia non coinvolge comunque solo partiti e istituzioni: in un altro sondaggio, condotto dalla società di consulenza Gallup, solo il 55% degli statunitensi ha espresso fiducia nel “popolo americano”. Si tratta del dato più basso (ex aequo con il 2016) degli ultimi 50 anni. Indice di come, quella statunitense, potrebbe essere molto più di una semplice inquietudine istituzionale.

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Gennaro Mansi

Gennaro Mansi

Originario di Battipaglia, nel salernitano, Gennaro scrive di politica e affari internazionali per La Voce di New York. Si è laureato in diritto comparato all'Università di Bologna e ha studiato presso la Scuola Superiore di Economia di Mosca. Scrive regolarmente di politica russa per Osservatorio Russia e Filodiritto. Attratto visceralmente da New York, è stato soprannominato 'Urban Cowboy' Born in southwestern Italy, Gennaro is an analyst of international affairs with a background in comparative constitutionalism. Since completing his legal studies at Bologna and Moscow's HSE universities, he has been writing about Russian politics for a variety of publications. He regards NYC to be his natural habitat and has been thus nicknamed 'Urban Cowboy'.

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