La politica conciliatoria di Joe Biden non lo sta ripagando. Il capo della Casa Bianca sta perdendo consensi sia tra gli elettori democratici conservatori che tra quelli progressisti.
Secondo i sondaggi il suo approccio della ricerca del dialogo, mentre il Paese chiede a gran voce i cambiamenti, scontenta tutti e mostra la fragilità della sua presidenza incapace di superare le trappole dell’opposizione.
I democratici conservatori sono allarmati per le ingenti prospettive di spesa proposte nel piano di ristrutturazione delle infrastrutture associato al piano del welfare e dell’ambiente. Circa 5 mila miliardi di dollari che porterebbero l’indebitamento pubblico a livelli inediti anche se il piano di spesa per questi progetti verrebbe in gran parte finanziato con un aumento delle tasse che colpirebbe solo i profitti societari e la classe più ricca degli americani. I progressisti invece sono frustrati dalla mancanza di coraggio della Casa Bianca che non riesce a portare avanti le promesse elettorali bloccate dai democratici conservatori e dalla minoranza repubblicana al Senato. Legge elettorale, riforma della polizia, immigrazione, aborto, paga minima a 15 dollari l’ora restano attualmente solo promesse fatte nei comizi. E questa ricerca di Biden di avere il dialogo con l’opposizione sta trasformando gli impegni non mantenuti in risentimento. Poi sul fuoco del malcontento Donald Trump getta altra benzina aizzando con le sue bugie l’insoddisfazione popolare tanto che nel sondaggio fatto da FiveThirtyEight la percentuale delle persone che disapprovano l’operato di Biden è arrivato al 49.2% mentre quelle che lo approvano è diminuito al 44.5%.
Nel lungo fine settimana del Columbus Day le schermaglie politiche si sono intensificate. La Casa Bianca ha formalmente bloccato il tentativo di Donald Trump di trattenere i documenti richiesti dalla commissione del Congresso che sta indagando sull’assalto del 6 gennaio. Biden ha informato che non eserciterà il privilegio esecutivo per conto dell’ex presidente. La portavoce della Casa Bianca Jen Psaki ha detto che “le indagini non riguardano la normale attività del governo… ma solo un giorno buio della nostra democrazia”.

Dopo che la Commissione della Camera che indaga sull’assalto al Congresso ha convocato alcuni ex collaboratori di Trump a testimoniare, l’ex presidente ha chiesto al suo ex stratega Steve Bannon e ai suoi ex collaboratori, Mark Meadows, Dan Scavino e Kashyap Patel di ignorare le ingiunzioni giudiziarie della commissione, sostenendo che la loro testimonianza è coperta dal privilegio esecutivo. La Casa Bianca però ha obiettato che il privilegio può essere applicato solo da un presidente ancora in carica. Una situazione simile avvenne con l’ex presidente Richard Nixon che inutilmente cercò di bloccare il rilascio dei documenti del Watergate dopo che fu costretto a lasciare la Casa Bianca. Non è chiaro se gli avvocati dell’ex presidente cercheranno ora di ostacolare in tribunale la decisione della Casa Bianca.
Questa storia delle ingiunzioni deve aver toccato un nervo scoperto di Donald Trump il quale con particolare veemenza si è lanciato nel suo monologo sui brogli elettorali e sulle elezioni rubate durante il finesettimana. L’ex presidente è tornato in campo con un comizio “Save America” in Iowa, lo Stato che tradizionalmente lancia le primarie per la corsa alla Casa Bianca. Una mossa che ha mandato in delirio i suoi sostenitori e che alimenta ulteriormente l’ipotesi che sia intenzionato a ricandidarsi nel 2024, anche se su di lui incombono l’inchiesta parlamentare sull’assalto al Congresso oltre alle numerose inchieste della magistratura sia per i tentativi di cercare di convincere il segretario di Stato della Georgia a ribaltare i risultati elettorali nello Stato, sia per le sue vicende giudiziarie personali e societarie.
In ogni caso l’ex presidente è andato a Des Moines con i più alti indici di gradimento di sempre: il 53% degli abitanti dell’Iowa ha una visione favorevole del suo operato (il 45% sfavorevole), secondo un sondaggio Des Moines Register/Mediacom Iowa.
Davanti alla sua folla dei MAGA, Donald Trump è arrivato con accanto Chuck Grassley, uno dei repubblicani più influenti al Senato. Una presenza questa del vetusto politico che a gennaio, subito dopo l’assalto al Congresso, aveva usato parole di fuoco contro l’ex presidente. Uno dei pochi senatori repubblicani che accettò la sconfitta di Trump alle elezioni. “La verità è che ha perso. Ha intentato più di 60 cause legali e le ha perse tutte tranne una. Non ha ottenuto abbastanza voti per superare Biden negli stati chiave”, affermò Grassley subito dopo le elezioni. Che poi prese le difese dell’ex vicepresidente Mike Pence insultato e vilipeso da Trump perché si rifiutò di assecondare il suo tentativo anticostituzionale di non certificare il risultato elettorale. Ma ora Chuck Grassley nonostante i suoi 88 anni ha annunciato che si sarebbe ricandidato al Senato per l’ottava volta e ha seguito il suggerimento di Trump “pensa al futuro, non rimuginare sul passato” ed è accorso alla sua corte per ottenere la sua benedizione.
La settimana scorsa Grassley è stato l’estensore del rapporto della minoranza repubblicana della Commissione Giustizia del Senato in cui affermano che le pressioni di Trump sulla magistratura per modificare i risultati delle elezioni non erano esagerate, ma in linea con l’impegno dell’ufficio del presidente nel sostenere la Costituzione. E così durante il comizio in Iowa Trump ha portato Grassley sul podio e gli ha dato “piena approvazione per la rielezione”. Di rimando l’attempato senatore ha detto: “Sarebbe stupido da parte mia non accettare l’approvazione di una persona che ha ricevuto il 91 per cento dei voti repubblicani in Iowa”. L’ex presidente ha discusso apertamente della possibilità di candidarsi nuovamente alla presidenza. Ha lanciato velenose frecciate contro Mitch McConnell per aver accettato la proposta dei democratici di rinviare il voto per alzare il tetto del debito.

A questo proposito oggi la speaker della Camera Nancy Pelosi ha detto che verrà seriamente presa in considerazione la proposta avanzata nei giorni scorsi dal Segretario al Tesoro Janet Yellen di eliminare l’approvazione da parte del Congresso per l’alzamento del tetto del debito. Quasi una battuta dietro la quale si cela la battaglia che i democratici progressisti vogliono fare per eliminare il filibuster, l’arma della minoranza che al Senato può bloccare con soli 40 voti l’iter di una proposta di legge della maggioranza. Un’arma a doppio taglio, ampiamente usata dai democratici quando erano loro in minoranza. Ma questa minaccia del leader della minoranza al Senato che ha detto che non concederà un’ulteriore proroga all’alzamento del tetto ha dato la giusta motivazione ai democratici per avviare questo passo. Se il tetto del debito non dovesse essere alzato le conseguenze economiche per gli Stati Uniti sarebbero disastrose tanto da essere l’arma per togliere le giustificazioni agli strenui difensori del filibuster.