Roma è pronta ad affrontare le urne. Il 3 e 4 ottobre si andrà a votare in oltre 1.300 comuni, tra cui capoluoghi fondamentali come Milano, Torino, Napoli e Bologna, ma la Capitale resta la Capitale.
“Roma è meravigliosa, però viverci è un casino” sembra essere ormai diventato un proverbio. Tutti lo dicono, nessuno riesce a risolvere il problema. Anzi. Ascoltando i romani, pare che le cose continuino a peggiorare. Nell’aria c’è sempre quel ricordo nostalgico di un passato che non esiste più, il più classico dei “eh ma una volta” e la stanchezza dovuta a un susseguirsi di amministrazioni capaci soltanto di riempirsi la bocca di parole: “ripuliremo, ripartiremo, rinnoveremo”. E invece Roma sta così come sta, mentre in sottofondo un vociare lamentoso si disperde tra le vie della città.
Questa volta, per la poltrona al Campidoglio, corrono in 22. Solo 4, però, sono i veri candidati, quelli che possono sperare di salire al colle: Virginia Raggi, sindaco uscente e rappresentante del Movimento 5 Stelle, Roberto Gualtieri (centrosinistra), Enrico Michetti (centrodestra), Carlo Calenda (lista civica).

Gli ultimi sondaggi vedono in testa i due alfieri degli schieramenti tradizionali, Michetti e Gualtieri, mentre più indietro rimangono Raggi e Calenda. Ma attenzione a fidarsi dei sondaggi.
Michetti, quando la corsa è iniziata, sembrava irraggiungibile. Forte dell’appoggio di Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni che pare avere un caposaldo tra i quartieri della capitale, nei primi giorni della campagna elettorale le percentuali gli sorridevano a 32 denti. Poi, con le prime uscite pubbliche, il consenso ha iniziato a sgretolarsi. Ai romani Michetti parla latino, ricorda i tempi dell’impero, si rifà all’esempio dei capite censi e propone soluzioni astratte per una città che come nessuna lamenta problemi concreti.
Capendo la difficoltà del suo pupillo, Giorgia Meloni ha deciso di oscurarlo e il contenimento dei danni sembra essere riuscito. Michetti è l’unico candidato di cui a Roma non si vede il volto. Nei tanti cartelloni della destra che in queste settimane addobbano la città, non compare la sua immagine, ma quella di Giorgia. “L’italia del riscatto” e un enorme ritratto della leader con faccia seriosa. Poi, in basso a sinistra, quasi a sperare che nessuno lo legga, “per Michetti sindaco”. In tanti ancora non hanno ben capito chi sia Michetti e molti di quelli che l’hanno fatto non ne sono rimasti entusiasti. Al ballottaggio, però, dovrebbe arrivarci. Lega e FDI sono due motori troppo potenti per pensare a una debacle al primo turno.

Roberto Gualtieri ha fatto una campagna elettorale in sordina. Lo dimostra anche l’evento di chiusura, che poi evento non è stato. Non un luogo, un discorso, un punto di riferimento, ma 15 diverse piazze sparse per la città e per le sue periferie. L’ex ministro era a San Basilio, un quartiere simbolo per la lotta alla riqualificazione del degrado urbano, e a fare le sue veci negli altri ritrovi i candidati presidenti dei rispettivi municipi.
Tutto tranne che un uomo forte, ma può contare sul consenso storico che il Pd regala ai propri candidati. Un po’ come la destra, anche la sinistra conta sui cittadini che si sentono di quell’ala politica e che quindi, di fronte al dilemma elettorale, non avranno altra strada se non quella del voto per Gualtieri.

Virginia Raggi è il sindaco uscente. Arrivata al Campidoglio nel 2016, quando i 5 stelle erano ancora il partito che ambiva a rivoluzionare la politica, oggi si ritrova tra le fila di un Movimento cambiato radicalmente. La campagna elettorale l’ha vista spesso al fianco di Giuseppe Conte, che da nuovo leader dei 5S ha adottato una strategia simile a quella della Meloni: stare vicino al proprio candidato sperando così di passargli per osmosi la propria popolarità.
Raggi rivendica di aver fatto ripartire una macchina, quella dell’amministrazione capitolina, ferma da anni, di aver rimesso in sesto i conti, di aver combattuto la mafia e di aver comprato 900 nuovi autobus. Poi, racconta di avere in progetto tanto per la città, soprattutto dal punto di vista dei trasporti pubblici: un settore che i romani considerano alla stregua di una piaga d’Egitto. Discutendo con loro, difficilmente sentirete per la sindaca parole d’affetto. Quasi nessuno confesserà di averla votata o, peggio ancora, di avere intenzione di votarla di nuovo. Alle urne, però, prenderà ancora tante preferenze. È la magia dello scrutinio segreto.

Infine Carlo Calenda, quello che qui chiamano “outsider”, ma che ha un passato da Ministro dello Sviluppo Economico nei governi Renzi e Gentiloni e che attualmente ricopre la carica di europarlamentare. È partito prima di tutti, quasi un anno fa, quando nessuno voleva correre per governare Roma, e si è presentato agli elettori con una lista civica. Merito di Calenda è quello di aver portato un programma dettagliato ed estremamente concreto, dove per ogni Municipio (a Roma sono 15) vengono specificate le vie e le opere pensate per il futuro.
Ha concluso il suo percorso in una Piazza del Popolo affollata, dove molti erano i giovani con in mano una bandiera. Sì, perché il leader di Azione, un partito mai passato per le urne e che secondo i sondaggi raccoglie tra il 3 e il 4%, è molto amato dai ragazzi. Calenda, però, ha più di un problema: uno su tutti, non è appoggiato da nessun grande partito. Un po’ a destra e un po’ a sinistra, Carlo (così lo acclamano in piazza) punta a raccogliere i voti di chi non sa da che parte guardare.

Attacca Salvini e lo definisce un “bullo di cartapesta”, fa a sportellate con la Raggi e cerca lo scontro frontale con una sinistra dal quale è partito, ma che gli sembra sempre più lontana. Una sua speranza potrebbe essere il voto disgiunto, soprattutto proveniente da una destra che sa di non poter contare su Michetti. Urla sicuro “vinceremo”, ma i sondaggi non gli sorridono. La sua, più che una vittoria, sarebbe un vero e proprio exploit.
Si voterà domenica dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15. Qualche vecchio centurione, arrivati a questo punto, direbbe “daje”.