Non è andato tutto bene, non si tornerà più come “prima”. Questo, almeno, il Covid lo insegna. E ricorda che ci si deve scrollar di dosso il “vizio” di cui parla Giorgio Bassani: andare avanti con la testa sempre voltata all’indietro.
La pandemia non è un fatto episodico, è un “qualcosa” con cui si farà i conti per molto tempo, una tragedia il cui connotato è il suo essere transnazionale: indifferente a confini e nazionalità. Una “livella” che non va per il sottile; per essere contrastata esige tempestività d’intervento, efficienza coniugata a competenza. Un “fare” che mal si concilia con un “dire”, soprattutto quando il “dire” si risolve in inconcludenti bla-bla. Già scienziati ed esperti sono spesso confusi; figuriamoci chi parla privo di arte e parte.
Gli antichi romani risolvono in qualche modo la questione affidandosi, nei momenti di crisi acuta a un magistrato straordinario, fornito di imperium maximum: pienezza di poteri civili e militari. Non può rimanere in carica più di sei mesi, nominato dai consoli in carica o tribuni militari con potestà consolare, su richiesta del Senato. “Dittatura” che assicura unità di direzione allo stato, pur salvaguardando a pieno la continuità delle istituzioni repubblicane.
Nicolò Machiavelli è il primo pensatore politico moderno che presta grande attenzione alla “magistratura” della dittatura: conia una definizione quanto mai calzante, «autorità dittatoria», fondamentale per la sopravvivenza delle repubbliche: “Mai fia perfetta una repubblica se con le leggi sue non ha provisto a tutto e ad ogni accidente posto il rimedio e dato il modo a governarlo. E però conchiudendo dico che quelle repubbliche, le quali negli urgenti pericoli non hanno rifugio o al Dittatore o a simili autoritadi, sempre né gravi accidenti rovineranno”.
“Dittatura”, si badi: non tirannide. A cui ricorrere nei tempi di emergenza: quando le «vie ordinarie» non riescono a far fronte agli «accidenti straordinari». Per quel che riguarda gli antichi romani, la “dittatura” decade quando cresce il potere del Senato, e si moltiplicano i magistrati forniti d’imperio; il “dittatore” diventa così inutile e sospetto all’oligarchia senatoria.
Tuttavia, il problema resta tutto. In caso di emergenze e gravi calamità è fatale, se si vuole scongiurare l’anarchia (intesa nella sua accezione deteriore), che un numero ristretto di persone si assuma responsabilità operative; individui chi e come collabora, rendendo esecutive le decisioni adottate; decida a chi delegare, individuando persone competenti e autorevoli; fondamentale che la collettività risponda con senso civico, collabori “obbedendo” a quanto deciso. Ci sono situazioni in cui persone devono assumersi la responsabilità di decisioni rapide se si vuole siano efficaci, e i più le accettano ed eseguono. Il problema sono le “regole” e i limiti.
Non c’è dubbio che nel futuro prossimo ci si dovrà attrezzare a crescenti “emergenze” epocali: pandemie a parte, per esempio i conflitti, già in corso, per il controllo delle risorse idriche; o emigrazioni che assumeranno i connotati di veri e propri esodi.
Sempre più dovremmo imparare a conciliare le ragioni dell’immediatezza, il saper dare risposte veloci ed efficaci, con le ragioni della democrazia e della partecipazione; trovare il modo di conciliare diritti e doveri. Il monito mazziniano: “Ogni vostro diritto non può essere frutto che d’un dovere compiuto”.
Non va aprioristicamente respinto chi richiama l’attenzione ai rischi di una compressione di diritti in nome di emergenze sempre più, di questi tempi, “ordinarie”. Ma non è respingendo un obbligo vaccinale o il dover esibire un “green pass” che si verrà a capo della questione che esiste e va affrontata. Nessuna vocazione autoritaria o liberticida; ma occorre ragionare sul come conciliare il dover fronteggiare con efficacia gli “accidenti straordinari”, senza intaccare i diritti di tutti e ciascuno. Occorre individuare ragionevoli e soddisfacenti risposte ai problemi del presente e del futuro prossimo.
È una questione che già si è posta all’indomani dell’11 settembre di vent’anni fa con le stragi alle Twin Towers e al Pentagono. Studiosi del diritto, scienziati e filosofi della politica da tempo si interrogano sulla questione dei poteri di emergenza nelle moderne democrazie costituzionali. Questione che oggi si è acuita con la crisi planetaria del Covid.
C’è un possibile punto d’inizio, Machiavelli: ragiona lucidamente sulle crisi che può attraversare una repubblica, e i mezzi (ordinari e straordinari) possibili e necessari per farvi fronte. L’autorità dittatoria, per Machiavelli, è il “modo ordinario” su cui può e deve far ricorso la repubblica “non corrotta” che intende continuare a garantire l’esperienza del “vivere libero”. Da qui sarebbe utile partire: per una riflessione e un confronto ormai ineludibili. Urge un ragionar pacato, scevro da ideologismo e pregiudizio. Chissà se ne saremo capaci. Chissà se vorremmo esserne capaci.