Dopo aver terremotato la Seconda repubblica, il Movimento 5 Stelle sta ora franando su se stesso. Presentatisi all’opinione pubblica come inflessibili castigatori della “Casta” e dei suoi rituali, i grillini stanno implodendo secondo dinamiche impensabili anche nei meandri più grotteschi e bizantini della prima repubblica. Impantanato tra fazioni che si scambiano minacce legali, impegnate in battaglie all’ultimo sangue per la conquista del potere interno, la creatura di Grillo e Casaleggio senior è diventata da anni un partito tradizionale a tutto tondo, ormai giunto a un precoce e patetico epilogo.
Eh sì, ci voleva una bella telenovela “sudamericana”, con tanto di duello, per intrattenere gli Italiani in questa estate in cui imperversa la noia afosa dell’efficienza. Centrato l’obiettivo della promozione a pieni voti del PNRR, mantenuto un ottimo ritmo nella somministrazione dei vaccini (nonostante le incertezze su AstraZeneca), che fare una volta finiti gli europei di calcio? Ci hanno pensato i due Beppe più famosi dell’attualità politica italiana: il fondatore e di fatto proprietario del Movimento, l’ex comico Grillo, e il suo presunto leader in pectore, l’ex premier Conte.

Il fondatore rivendica per sé il ruolo di “papà” dei 5S. Di fatto, la facoltà esclusiva di decidere la linea politica, soprattutto in politica estera. Praticamente, quello che abbiamo visto fino ad oggi, ossia una monarchia assoluta condotta come una teocrazia. E così, accusa Conte di non avere né la “visione politica” né le “capacità manageriali” per gestire il futuro dei 5 stelle. Dal canto suo, l’ex premier e aspirante leader vorrebbe invece strutturare il Movimento. Al di là della sintassi tipicamente fumosa ed evanescente di Conte, significa trasformare il grillismo in un partito tradizionale. Un’ipotesi che, almeno sulla carta, dovrebbe trovare l’approvazione incondizionata di chiunque in questi anni non abbia indossato i paraocchi davanti alla cultura violenta e giustizialista del grillismo. Il problema però è che i duellanti hanno ragione entrambi. Ha ragione Conte nel ritenere che siano maturi i tempi per traghettare il M5S fuori dal recinto del fanatismo populista e anti sistema del grillismo prima maniera. Ma ha ragione anche Grillo nel ritenere Conte inadatto a ricoprire un qualsiasi ruolo di comando, figuriamoci di leadership di uno dei maggiori partiti italiani. Attualmente, quello con la maggiore forza parlamentare, in virtù del grande successo elettorale alle elezioni politiche del marzo 2018.
Le ragioni di Conte sull’urgenza di dismettere definitivamente la maschera del “Vaffa” sono inattaccabili. Idem la pretesa di emanciparsi una volta per tutte dalla formula della setta che come un sol uomo annuisce in automatico ad ogni batter di ciglia dell’ “Elevato”. Inesorabilmente, questo informe pseudo rinnovamento del fare politica si è rivelato da subito il più obsoleto e oscurantista dei conservatorismi. Un modus operandi che negli anni si è nutrito avidamente di fake news, complottismo, demonizzazione dell’avversario e più in generale delle istituzioni, cieco giustizialismo, linguaggio violento e sessista.

Un vuoto di idee e di competenza che non poteva reggere a lungo. Un vuoto che, infatti, è stato aborrito e superato dalla natura, degli uomini e delle cose. Alcuni grillini, alla prova di governo, al netto del giudizio sull’operato, hanno tuttavia assunto una dimensione istituzionale che li pone anni luce dalle feroci macchiette interpretate ai “box di partenza”, conquistati per la prima volta nel lontano 2013. Sono pochissimi, ma esistono. E non c’è dubbio che Luigi Di Maio ne rappresenti l’esempio più eclatante. Uomini dunque, ma anche cose. Un esempio su tutti: la “maggioranza Ursula”, formatasi all’indomani del voto europeo del 2019. Trattasi di un fatto politicamente enorme, di cui i grillini sono parte integrante. Di fronte a tutto questo, la narrazione dei puristi nostalgici alla Di Battista ormai fa solo tenerezza.
Ma il punto su cui, paradossalmente, Grillo ha assolutamente ragione è il seguente: Conte è davvero in grado di guidare un processo delicato come la normalizzazione di uno dei partiti più populisti della nostra storia repubblicana? Non c’è forse il rischio altissimo che l’operazione fallisca miseramente, in favore delle peggiori pulsioni estremiste che vediamo svolazzare fameliche, nascoste dalla facciata di artificiosa moderazione dell’ex premier?

Conte è lo sconosciuto avvocato catapultato a Palazzo Chigi proprio in virtù della sua inconsistenza politica, per svolgere il compito di figurante-esecutore del contratto di governo tra Lega e M5S. È l’uomo che ha guidato il governo che ha lasciato i migranti in mare a soffrire le pene dell’inferno e che ha realizzato gli infami decreti sicurezza, da lui stesso branditi con tronfia soddisfazione a favore di flash e telecamere. È il premier che ha rivendicato con fierezza il populismo, arrivando a sostenere che perfino la nostra Costituzione ne fosse intrisa. È il capo di governo che sulla pandemia ha imbastito un immaginifico show permanente, mentre intanto venivano sprecate montagne di soldi pubblici in primule e mascherine farlocche. Per non parlare dell’umiliante bocciatura del suo Recovery Plan da parte di un’Europa basita e preoccupata, e della sua politica estera così filo trumpiana e filo putiniana da far vacillare seriamente la reputazione dell’Italia di membro fedele e affidabile dell’euroatlantismo. Da ultimo, la sceneggiata della caccia ai responsabili.
Questo è un leader? O piuttosto un figurante mal consigliato? Nei fatti, per ora, sembra solo un Grillo più educato e meglio vestito.