Il presidente ucraino Zelensky parlerà all’Assemblea Generale dell’ONU mercoledì 21 settembre. Così è stato deciso da un voto dell’Assemblea che ha contato 101 membri favorevoli, 19 astenuti (tra cui la Cina) e 7 contrari (Russia, Bielorussia, Cuba, Eritrea, Nicaragua, Corea del Nord e Siria).
L’ONU, con una scelta senza precedenti, abbraccia a larghissima maggioranza la causa ucraina, rispondendo all’appello dello stesso Zelensky affinché “il mondo veda le atrocità” commesse dai Russi. Nuove fosse comuni, infatti, con corpi martoriati da torture, sono state trovate nella città di Izyum, appena liberata dal giogo russo grazie alla travolgente controffensiva delle armate di Kiev. Da gli orrori di Bucha a quelli di Izyum, l’invasione russa si palesa sempre di più come un vero e proprio genocidio alle porte dell’Europa.
Ma se l’Occidente e gran parte della comunità internazionale mettono all’indice la Russia di Putin, descrivendola come un gravissimo pericolo per la sicurezza internazionale, il Cremlino risponde che “la Russia non può essere isolata”. E brandisce, a prova di questa visione, alleanze geopolitiche e progetti di lungo respiro che Mosca starebbe costruendo in Asia e che avrebbero come scopo, ed esito dato per certo, la nascita di un blocco di influenza in grado di surclassare l’Occidente, riducendolo in futuro ad attore non protagonista della geopolitica globale. Una narrazione che sembra più il delirio del cattivo di turno di qualche B movie di fantascienza, ma che il Cremlino è riuscito a far diventare “virale” in contesti mediatici, accademici e politici occidentali, distribuendo dollari a destra e a sinistra, o meglio, alla destre e alle sinistre di mezza Europa e non solo.

Ma cosa c’è di vero nel radioso futuro di alleanze tra Russia e Cina, tanto sbandierato dal Cremlino e dai suoi megafoni occidentali (che in Italia abbondano)? Quanto è realistico un prossimo ruolo da protagonista della Russia nella reggenza dell’ordine mondiale? La Cina considera davvero la Russia un partner alla pari nelle future sfide geopolitiche contro l’Occidente? O è piuttosto un gigante che aspetta di mangiarsi risorse e zone di influenza del moribondo alleato, prossimo a diventare definitivamente un suo vassallo?
I fatti dicono con chiarezza che la Russia ha davanti un futuro di forte ridimensionamento della propria influenza, perfino nella “sua” Asia centrale, e di riduzione del suo ruolo geopolitico a quello di potenza regionale, umiliata dal perdente confronto con l’Occidente e sempre più compressa dall’avanzata della Cina.
I calcoli sbagliati di Mosca, tra debolezza e manie di grandezza
La Russia si è lanciata nell’invasione dell’Ucraina spinta anche dalla convinzione di poter approfittare della divisione del blocco occidentale. Condizione che, nei calcoli del Cremlino, avrebbe gravemente compromesso la capacità di rispondere in modo efficace alla realizzazione del (velleitario) sogno imperiale di Putin: riprendersi i territori dell’ex URSS, oggi indipendenti e soprattutto con lo sguardo rivolto ad Occidente. Ma dopo il costernato stupore delle prime ore di quel drammatico 24 febbraio, le potenze occidentali hanno opposto una compattezza insperata, nonostante la reiterata incertezza di alcuni paesi, in primis la Germania di Scholz. Sanzioni contro la Russia e appoggio militare all’Ucraina, lo vediamo soprattutto in queste ore, sono state e sono una risposta particolarmente efficace.
E quale Nemesi impietosa, la Russia vede ora sfumare l’equilibrio geopolitico, e con esso il suo controllo, di quello che considera e che in buona parte è stato fino ad oggi il suo cortile domestico: l’Asia Centrale. L’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), la “piccola NATO russa” formata da Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e dalla Russia a fare da dominus assoluto, sembra incapace di scongiurare il caos nella regione. Si intensificano infatti gli scontri tra Azerbaigian e Armenia per il controllo sul Nagorno-Karabakh. Si registrano ostilità al confine tra Kirghizistan e Tagikistan. Sale la tensione tra Russia e Kazakhstan, che rivendica autonomia da Mosca. Uno scenario che mostra come la Russia stia perdendo il controllo della regione centro-asiatica e del Caucaso, soprattutto a causa della guerra d’invasione scatenata contro l’Ucraina, che sempre di più si avvia a diventare un umiliante fallimento per il Cremlino, tanto sul campo quanto in politica estera.
Il tutto, con la Cina che osserva interessata e famelica e non fa mancare, a parole, il suo appoggio a Putin. Ma niente aiuti finanziari o militari. Solo promesse sul futuro, da signore a vassallo, che però non riescono più a coprire la freddezza di Pechino sull’invasione dell’Ucraina. Freddezza che, oramai, nemmeno lo stesso Putin nasconde più. Come testimoniano le stesse dichiarazioni del dittatore russo dopo l’atteso faccia a faccia con Xi Jinping, svoltosi a Samarcanda, in Uzbekistan, quando i due leader si sono incontrati per la prima volta dall’invasione dell’Ucraina.

L’occasione è stata il summit dei Paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), di cui fanno parte otto Paesi asiatici: Cina, Russia, Pakistan, India, Tagikistan, Kirghizistan e Kazakistan e Uzbekistan come paese ospitante. Tra i due c’è stata piena sintonia sulla critica all’approccio “unipolare” dell’Occidente. Xi Jinping ha apprezzato l’appoggio di Putin sulla questione di Taiwan e sulla visione di Pechino di “una sola Cina”. Ma come detto sopra, sono le parole di Putin a raccontare implicitamente la distanza tra i due sull’Ucraina. Lo zar ha infatti affermato di comprendere “le preoccupazioni della Cina sulla questione ucraina”, aggiungendo che “chiarirà la posizione russa”. La Cina, infatti, non interverrà in alcun modo in appoggio alla Russia, oltre alla vicinanza profusa nelle dichiarazioni pubbliche. Inoltre, Pechino è attentissima ad evitare di incorrere in sanzioni secondarie da parte dell’Occidente. Proprio quelle sanzioni comminate alla Russia e che a detta di molti sarebbero inefficaci, ma alle quali, guarda un po’, presta estrema attenzione addirittura Pechino. E alla freddezza cinese si somma la ben più palese contrarietà dell’India, altro grande paese con cui Mosca ritiene di costruire un futuro senza l’Occidente di mezzo. Nette le parole del presidente indiano Modi a Putin: “non è tempo di guerre”.
Gli scontri tra Azerbaigian e Armenia
Con Mosca impantanata nel conflitto in Ucraina, debilitata dalle sanzioni occidentali e messa sotto scacco sul campo dalla rapida controffensiva di Kyiv, l’Azerbaigian intravede uno spiraglio per imporsi sull’Armenia riguardo all’annosa questione del Nagorno-Kharabakh. L’Armenia infatti è membro del CSTO, mentre l’Azerbaigian non lo è più dal 1999. Questo fa sì che in caso di ostilità contro l’Armenia, analogamente a quanto prevede l’Alleanza Atlantica, di cui il CSTO è un emulo in forma (assai) ridotta, tutti i paesi membri intervengano in aiuto dell’alleato (articolo 4 del trattato CSTO, riguardante la mutua assistenza tra alleati).
Così è stato nel gennaio scorso, quando le truppe di Mosca sono intervenute in Kazakhstan, allo scopo di proteggere la tenuta del governo “amico” presieduto da Qasym-Jomart Toqaev. In questo caso però si è trattato più di un gesto unilaterale di Mosca piuttosto che di un’azione congiunta tra alleati. A riprova della reale natura del CSTO, che appare palesemente come un rapporto tra egemone e protettorati, tra il centro dell’impero, la Russia, e le sue piccole province. Probabilmente, nei piani ottocenteschi e deliranti di Putin, un embrione di quello che dovrebbe essere il nuovo impero russo, con Mosca a capo delle riconquistate repubbliche ex sovietiche e di tutta la fantasmagorica “eurasia”.

Questa volta, in difesa dell’Armenia, la convocazione degli alleati è stata effettiva, ma faticosa. Il Cremlino ha preso tempo prima di accogliere le pressanti richieste di intervento del primo ministro armeno, Nikol Pashinyan. Dopo scontri costati in tutto un centinaio di vittime, è arrivato un primo cessate il fuoco. Ma la crisi è tutt’altro che placata.
E qui è il punto: il tentennamento di Mosca nel prendere la decisione di intervenire ha avuto due motivazioni, entrambe cruciali ed entrambe ancora lì, irrisolte, a sbarrare la strada al Cremlino. In primo luogo, la depotenziata agibilità militare di Mosca, dovuta all’impegno in Ucraina, che sta assorbendo gran parte delle energie russe, anche a causa dell’andamento fallimentare del conflitto. Nonché a causa degli effetti economici delle sanzioni occidentali, che inficiano la capacità del Cremlino di rifornimento e approvvigionamento delle truppe sul campo.
Erdogan, “amico” interessato di Putin
Ma a far vacillare l’efficacia della “piccola NATO russa”, e soprattutto l’egemonia di Mosca sulla regione, è anche la posizione della Turchia. Quest’ultima è assai scaltra nel giocare il ruolo di amica della Russia e di mediatrice tra Mosca e l’Occidente, ma è anche interessata da sempre a garantirsi una presenza militare nell’area a scapito della stessa Russia. Il presidente turco Erdogan ha infatti criticato aspramente l’Armenia e ribadito l’appoggio all’Azerbaigian, promettendo, o meglio, minacciando di essere pronto a intervenire militarmente al fianco di Baku.
L’altro macigno per l’autorevolezza della Russia (perfino) nella regione centro-asiatica arriva dal confine tra Kirghizistan e Tagikistan, dove negli ultimi giorni sono stati registrati numerosi incidenti, con alcune vittime. In questo caso si tratta di un fronte di scontro interno al CSTO. Segno che la debolezza di Mosca è sempre più evidente. E se viene meno l’unico vero perno di tutta l’alleanza militare regionale, ossia il timore verso l’egemone, viene meno anche la compattezza dell’alleanza. Ed ecco che ogni membro gioca sempre più in solitario, per i propri interessi nazionali, consapevole che il “centro dell’impero” è debole, occupato in ben altre questioni (Ucraina) e quindi sempre più impossibilitato a intervenire con la necessaria determinazione a sedare risse e capricci tra le proprie “province”.

L’appoggio minaccioso della Cina
E anche su questa crisi incombe la presenza di quello che dovrebbe essere un alleato, in questo caso il più importante, delle “magnifiche sorti e progressive” della Russia di Putin: la Cina. Pechino non nasconde infatti il suo vivo interesse per l’Asia centrale, dove ritiene di poter approdare con maggiore nettezza e farne una propria zona di influenza. E questo non può avvenire che a scapito della Russia.
Ma lo sguardo di cinica e interessata attesa della Cina è rivolto anche al Kazakhstan. Xi Jinping ha più volte elogiato le riforme attuate dal presidente kazako Toqaev, che di fatto hanno costituito un importante passo nell’emancipazione del Paese dal pressante controllo della Russia. Controllo che ha raggiunto i massimi livelli proprio in seguito all’intervento militare russo del gennaio scorso, a cui si è accennato prima, avvenuto per tenere in piedi il governo Toqaev.
Ed è per questo motivo che le parole di questi giorni dello stesso Toqaev suonano come un affronto verso Mosca. Pur smentendo indiscrezioni che volevano il Kazakhstan sul punto di lasciare il CSTO, il presidente kazako ha tuttavia usato toni decisamente sprezzanti verso Mosca, contestando il fatto che il kazakhstan sarebbe in debito con la Russia: “per la prima volta in 30 anni, la CSTO ha in qualche modo dato prova di sé, inviando un contingente limitato in Kazakistan e, sottolineo, non la Russia, ma la CSTO”, aggiungendo che “in Russia, alcune persone travisano questa situazione, sostenendo che la Russia ha salvato il Kazakhstan e che ora il Kazakhstan dovrebbe servire per sempre e inchinarsi ai piedi della Russia”. Lo sguardo di Pechino incoraggia a farsi sentire, senza più il timore delle reazioni russe.
Conclusioni
Ma allora, tornando alle domande iniziali, che alleanza è quella tra Russia e Cina? Quale sarebbe questo idilliaco mondo parallelo all’Occidente che la Russia starebbe costruendo da protagonista con presunti alleati orientali? E che amicizia è quella tra Russia e Turchia? Tutto ci dice che la Russia è un ex potenza in agonia, che si sta consegnando alla Cina, la quale, fa sfoggio mediatico di abbracci calorosi e roboanti progetti comuni per il futuro, ma intanto si sta mangiando pezzo dopo pezzo la Russia. Da un lato comprando le sue materie prime molto sottocosto, dall’altro avanzando a passo spedito nelle zone di influenza che un tempo erano prerogativa unica di Mosca. La Turchia, in modo proporzionalmente ridotto, attua lo stesso schema. La Russia di Putin è dunque vittima della propria irrazionale, criminale, patetica mania di grandezza, che la spinge a consegnarsi ad alleati che la sbranano tra elogi e pacche sulla spalla. Manco l’URSS a fine corsa è riuscita ad umiliarsi così.
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