E sfida sarà. Il leader della minoranza repubblicana al senato, Mitch McConnell, ha respinto la proposta del senatore democratico della West Virginia Joe Manchin, per la riforma elettorale. Una decisione che ha ramificazioni ben più profonde di quelle che appaiono: è la prova che in questo clima politico arroventato, alimentato dalla rabbia di Trump per la sconfitta, qualsiasi forma di dialogo costruttivo con l’opposizione è impossibile e che se si vogliono effettuare i cambiamenti necessari per avviare le riforme sociali ed economiche volute da Casa Bianca e dai democratici è necessario modificare le regole del filibuster. Questa è la tattica ostruzionistica usata dalla minoranza che con solo 40 voti su 100 riesce a bloccare la discussione delle leggi volute dalla maggioranza. Sia ben chiaro che il filibuster è stato usato da entrambi i partiti quando erano in minoranza.
Joe Manchin, in un Senato equamente diviso, è l’ago della bilancia della maggioranza. Finora aveva forzato il partito ad avere incontri con i repubblicani. Al Senato lo definiscono “il re delle mediazioni” perchè è capace, o perlomeno era capace, di mettere insieme democratici e repubblicani trovando formule impensabili per un compromesso.

Nei mesi scorsi, dopo che Donald Trump aveva perso le elezioni e dopo che l’ex presidente se l’era presa con i governatori degli Stati in cui è stato sconfitto continuando ad alimentare la bugia che le elezioni erano state truccate e che la vittoria gli è stata rubata e loro non avevano fatto nulla per impedirlo, sono state varate dai parlamenti statali una serie di misure restrittive per votare. Una mossa per rendere più difficile andare ai seggi per gli elettori più anziani, meno istruiti, più poveri, più decentralizzati, forti dell’assioma che l’elettorato bianco, più istruito, più benestante, più giovane voti per il partito repubblicano. Ed in effetti alle ultime elezioni negli Stati tradizionalmente rossi come la Georgia e Arizona, grazie al voto dell’elettorato non bianco, Biden ha vinto e con lui quattro senatori democratici Jon Osoff e Raphael Warnock, in Georgia e Mark Kelly e Kyrsten Sinema in Arizona che con la loro elezione hanno dato la maggioranza ai democratici al Senato. Visto che la partecipazione di massa organizzata dall’attivista politica Stacy Abrahams con una serie di iniziative sociali ed informative aveva prodotto affluenza record ai seggi, i repubblicani nei loro Stati hanno cambiato le leggi elettorali.

Per rimediare alle misure restrittive i democratici hanno preparato una proposta di legge federale (For The People Act) per standardizzare in tutto il Paese alcune regole fondamentali come gli orari di apertura e chiusura dei seggi, il voto per posta, rendere Election Day giorno non lavorativo e, poiché negli Stati per votare bisogna registrarsi per accedere alle primarie e alle elezioni generali, rendere automatica la registrazione con l’emissione o il rinnovo delle patenti di guida. I democratici avevano aggiunto altri requisiti di facilitazione per le quali il senatore Manchin si era opposto come il “gerrymanddering” (la manipolazione dei collegi elettorali) e i finanziamenti elettorali. Questi cambiamenti sono stati accettati dai suoi compagni di partito ed è stata preparata la bozza finale del progetto di legge. Misure apolitiche dettate solo per facilitare l’elettorato ad andare ai seggi per le quali Mitch McConnell ora si oppone. Ed ecco che questa sua presa di posizione potrebbe convincere Manchin che il dialogo è impossibile ed è ora di cambiare le regole del filibuster. Il test dell’infattibilità del dialogo già c’era stato quando è stata bloccata al Senato la formazione della Commissione d’inchiesta sull’insurrezione dei 6 gennaio. Neanche quell’episodio così drammatico e violento ha fatto trovare l’intesa tra i due partiti.
E ora Manchin deve decidere se continuare il ristagno politico imposto dai repubblicani o se è il caso di modificare le regole del Filibuster e portare avanti l’agenda del presidente Biden.
A Washington la proposta fatta da 21 senatori di entrambi i partiti per varare un piano alternativo a quello presentato dalla Casa Bianca per modernizzare le infrastrutture prende consistenza. Biden inizialmente aveva chiesto 2 mila e 200 miliardi di dollari, riducendoli poi a mille e 700. Il piano bipartitico dei senatori comporta una spesa di mille e 200 miliardi. I colloqui proseguono.
Continuano le indagini sull’assalto del 6 gennaio. Nuovi video rilasciati dal Dipartimento della Giustizia mostrano la violenza degli scontri, i pugni e le sprangate agli agenti, gli schizzi del liquido repellente per gli orsi sulle facce dei poliziotti. E poi i pugni, i calci le urla forzennate della folla. Ancora al Senato e alla Camera, nonostante i video, nonostante i morti e i feriti, nonostante fossero stati loro stessi testimoni oculari degli avvenimenti, i repubblicani continuano a minimizzare o addirittura a raccontare che la sommossa è stata un atto di goliardia tra studenti.

Sere fa Tucker Carlson al canale Fox News ha detto che l’assalto è stato coordinato da 20 agenti dell’Fbi. Tesi immediatamente accettata dai QAnon e dai suprematisti bianchi che hanno rilanciato sui canali della disinformazione le sue dichiarazioni, peraltro smentite dall’Fbi.
Il congressman del Texas, Louie Gohmert, trumpiano di ferro, ieri sera ha preso la parola alla Camera per dire che il 6 gennaio non è stato un tentativo di insurrezione perché non c’erano le armi. E non è il solo. Il senatore Ron Johnson, i congressmen Andrew Clyde, Jody Hice, Ralph Norman, tutti negazionisti in difesa di Trump.
Gohmert è famoso per una domanda fatta alcuni giorni fa alla responsabile dei parchi federali che parlava degli incendi nelle foreste. Le ha chiesto se credeva che era possibile spostare l’orbita della Luna per raffreddare il clima della Terra.