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April 16, 2021
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Parla piano e porta un grosso bastone, Sleepy Joe contro lo zar del Cremlino

Il presidente Usa compatta gli alleati e si prepara per una partita a scacchi nel Mediterraneo, impone sanzioni alla Russia di Putin ed espelle 10 diplomatici

Valter VecelliobyValter Vecellio
Parla piano e porta un grosso bastone, Sleepy Joe contro lo zar del Cremlino

Russian President Vladimir Putin and US President Joe Biden (composite created from wikimedia.commons)

Time: 4 mins read

26 gennaio del 1900. Theodore “Teddy” Roosevelt è ancora governatore di New York, non ha ancora fatto il “salto” che lo porta alla Casa Bianca; scrive a Henry W. Sprague, dell’Unione League Club. In quella lettera esprime la soddisfazione per essere riuscito a obbligare i Repubblicani di New York a togliere l’appoggio a un funzionario corrotto; e compare per la prima volta un’espressione destinata a entrare nel lessico comune: “Speak softly and carry a big stick; you will go far” (“Parla gentilmente e portati un grosso bastone; andrai lontano“).

La frase indica una politica, soprattutto estera, del “grosso bastone”: “Big Stick ideology, Big Stick diplomacy o Big Stick policy”. Perseguita da Teddy Roosevelt durante i suoi due mandati dal 1901 al 1909, nel primo decennio del XX secolo. Ma non solo da lui, evidentemente.

Nella storia degli Stati Uniti questa “politica” va in parallelo con il concetto, più esteso, di “diplomazia delle cannoniere”: negoziati pacifici a cui si affianca la minaccia del “Big Stick”, l’intervento militare. Una politica fortemente pragmatica, basata sui principi della ragione di Stato. Traduzione anglosassone del machiavellico: “Gli Stati non si governano coi pater noster”.

Preambolo necessario, per ragionare delle cose dell’oggi.

La politica estera, “Big Stick ideology, Big Stick diplomacy o Big Stick policy”, perseguita da Teddy Roosevelt durante i suoi due mandati dal 1901 al 1909

L’Amministrazione del presidente Joe Biden impone sanzioni dure contro la Russia di Vladimir Putin; così dure che hanno il potenziale di avere effetti pesanti sull’economia da una parte; fissano un precedente molto significativo dall’altra. Le banche americane, per esempio, non potranno acquistare titoli di stato russi; un provvedimento che riduce le possibilità della Russia di procurarsi denaro a prestito. Non solo: una trentina di “entità” vengono colpite da sanzioni; tra queste “media” fasulli, controllati dai servizi segreti di Putin, specializzati nel diffondere on line false informazioni.

Infine, l’espulsione di dieci diplomatici. Val la pena di soffermarsi un attimo sulle motivazioni: le sanzioni puniscono soprattutto il caso “SolarWinds”: la violazione molto sofisticata e su scala gigante dei servizi segreti russi contro le reti di computer di grandi aziende e istituzioni americane. Si puniscono inoltre le interferenze nelle elezioni del 2016 (la Russia aveva puntato su Donald Trump); l’uso di armi chimiche (il caso dell’oppositore Alexei Navalny); le taglie offerte ai talebani perché uccidessero soldati americani (il “patriota” Trump, durante il suo mandato, su questo neppure ha battuto ciglio).

Insomma, la famosa presunta gaffe di Biden su Putin killer comincia a prendere una diversa fisionomia, rispetto quella che inizialmente in tanti hanno dato. Giorno dopo giorno Biden vuole ristabilire il principio che le azioni aggressive contro gli Stati Uniti comportano conseguenze: “Big Stick ideology, Big Stick diplomacy o Big Stick policy”.

Dopo quattro anni di sonnolenza trumpiano, le sanzioni volute dall’amministrazione Biden segnano un risveglio significativo e necessario. La ricreazione è finita, dice in sostanza a Casa Bianca. Il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan fa sapere che non basteranno; seguirà una politica definita di “seen and unseen“: misure “visibili” nell’immediato; e altre che si manifesteranno col tempo; si può immaginare siano rappresaglie nel settore sicurezza e intelligente. Dal Cremlino segnali di nervosismo non mancano; il previsto incontro fra Biden e Putin ne risentirà? Non c’è dubbio.

E’ il prezzo da pagare. “Non possiamo permettere a stati stranieri di interferire nella nostra democrazia, e sono pronto a prendere ulteriori azioni contro la Russia se continuerà a farlo“, dice Biden. Il resto è logica conseguenza. Il minimo sindacale, l’aver poi aggiunto: “Il presidente Putin ed io abbiamo un’importante responsabilità nel portare avanti le nostre relazioni. Io la prendo molto seriamente e sono sicuro lo faccia anche lui russi e americani sono popoli orgogliosi e patriottici. E credo che i russi, come gli americani, siano impegnati per un futuro sicuro e pacifico del mondo“.

10 marzo 2011: L’allora vice presidente Joe Biden con l’allora premier russo Vladimir Putin (Official White House Photo by David Lienemann).

Biden ha avuto cura di schierarsi a fianco dell’integrità territoriale dell’Ucraina; invita la Russia ad “astenersi da ogni azione militare“; ribadito “l’incrollabile sostegno ai nostri alleati e la preoccupazione per la crescente presenza militare al confine ucraino“; firmato un ordine esecutivo che definisce le attività destabilizzanti russe come «minaccia inusuale e straordinaria alla sicurezza nazionale, alla politica estera e all’economia degli Stati Uniti».

La Russia è sempre una grande potenza politica, economica, militare. Ma complice la pandemia e il calo del prezzo del petrolio (principale motore dell’economia russa), rendono le sanzioni USA particolarmente insidiose. Vero che nel primo trimestre la ripresa del petrolio ha permesso al bilancio federale russo di tornare in surplus; ma gli economisti e gli esperti di Putin fanno bene a essere allarmati. NATO e Unione Europea hanno espresso solidarietà agli Stati Uniti per le misure intraprese; non accadeva da tempo: Trump era di per sé stesso non solo isolazionista, ma respingente. Mosca promette una rappresaglia: «Questo tipo di comportamento aggressivo incontrerà sicuramente una decisa resistenza. La risposta sarà inevitabile», assicura la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova.

Per ora “incassa” Biden: smentisce coi fatti l’epiteto con cui Trump lo ha voluto ridicolizzare: “Sleepy” Manda messaggi chiari a Putin (ma la stessa cosa con la Cina di Xi); compatta gli alleati europei e gli alleati NATO. Si accinge a giocare una partita nel delicato scacchiere mediterraneo, in Libia ma non solo; fa capire che Mosca ed Ankara, a Damasco e a Il Cairo devono fare i conti anche con Washington.

Prudente come di natura, Biden ancora non gioca tutte le sue carte: le presunte ricompense russe ai talebani per uccidere soldati americani in Afghanistan (i servizi segreti americani al momento nei loro dossier valutano la cosa come di “medio-bassa” credibilità); il gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2 (per non compromettere le relazioni con la Germania).

Siamo solo all’inizio di un braccio di ferro che è destinato a durare a lungo.

 

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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