Domani a Bruxelles si riunirà il Consiglio Europeo, l’organismo collettivo che definisce le priorità e gli indirizzi politici dell’Unione, e allora oggi, prima di imbarcarsi virtualmente sull’aereo di Stato, Mario Draghi ha parlato in Parlamento. Prima in Senato e poi alla Camera, il Presidente del Consiglio ha esposto una serie di temi dei quali, senza dubbio, discuteranno anche i leader europei.
Come premessa, arriva un pensiero per Joe Biden. “Vorrei esprimere forte soddisfazione per la partecipazione del presidente degli Stati Uniti ad un segmento del Consiglio Europeo. La sua presenza conferma la reciproca volontà di imprimere dopo un lungo periodo nuovo slancio alle relazioni fra l’Unione Europea e gli Stati Uniti”. Un attestato di stima che conferma la linea di questo governo, fortemente propenso al multilateralismo e al rinnovo dei rapporti con gli USA. Draghi vede l’alleanza con gli americani come una piantina a cui per troppo tempo, circa quattro anni, è stata data poca acqua. La sua intenzione, confermata più volte, è quella di innaffiare e far fiorire i germogli di una relazione che dura da 160 anni.

Poi, il Premier è passato ai temi del Paese. Per iniziare, il più urgente in assoluto, quello dei vaccini. Un riepilogo della situazione attuali, con il ritmo raggiunto di circa 170.000 dosi al giorno, e uno sguardo al futuro. L’obiettivo dichiarato sono le 500.000 iniezioni quotidiane, possibili grazie ai nuovi rifornimenti previsti nel mese di aprile, ma per raggiungerlo non bastano soltanto più fiale. Serve organizzazione, pragmatismo e, questo emerge dalle parole del Premier, maggiore accentramento dei poteri.
Stop all’autonomia sfrenata delle regioni, che ha portato differenze di prestazioni abissali tra le diverse parti dello stivale, e via libera al controllo centralizzato. Quella sui vaccini è una partita da giocare con la massima attenzione, senza lasciare che nulla, nella gestione della macchina sanitaria, venga lasciato al caso.
Certo, tutto funziona soltanto se le dosi vengono consegnate. I ritardi delle cause farmaceutiche sono ormai argomento noto ed è proprio di oggi la notizia che ha fatto scalpore in Europa. Protagonista è sempre lei, AstraZeneca. Nello stabilimento Catalent di Anagni, paesino con poco più di un centinaio di abitanti in provincia di Frosinone, sono stoccate 29 milioni di dosi. Ferme lì, pronte per essere usate, ma immobili. Una specie di “scorta” tenuta dall’azienda e pronta per un’imprecisata destinazione.

La reazione di Draghi è stata dura e quella dell’Europa ancora di più. Il commissario all’emergenza covid Breton ha minacciato il blocco dell’export, assicurando che alle fiale di Anagni non sarà permesso di uscire dall’Unione. Qua sono e qua devono rimanere: nessuna scorciatoia.
Il Presidente del Consiglio ha poi parlato di riaperture. “È bene iniziare a pianificarle e cominceremo con le scuole primarie e dell’infanzia, se la situazione lo permette anche nelle zone rosse, dopo Pasqua”. Ha aggiunto però una parola di troppo, che lo salva da eventuali proroghe: “speriamo”.
Ha rimarcato poi, da buon ex leader della BCE, l’importanza del mercato unico europeo, ricordando che difenderlo significhi “difendere le aziende italiane”.

Infine, una menzione è andata anche al tema dei diritti umani, ferocemente calpestati in questi giorni da due paesi strategicamente importanti come Turchia e Libia. La prima ha abbandonato, per mano di Erdogan, la Convenzione contro la violenza sulle donne, firmata proprio a Istanbul nel maggio del 2011. In Libia, invece, l’Italia si prepara a “sostenere il governo temporaneo, garantire le elezioni entro dicembre e rispettare il cessate il fuoco”. I due Paesi sono strettamente collegati tra loro e infatti Draghi ha sottolineato come “occorra essere molto vigili che l’accordo sul cessate il fuoco venga rispettato con l’evacuazione di coloro che hanno alimentato questa guerra: i mercenari e gli eserciti di altri Paesi. Tra questi la Turchia”.