“Il primo grado della saggezza è sapere tacere; il secondo è saper parlare poco e moderarsi nel discorso …” l’Abate Dinouart, nel suo trattato, pubblicato a Parigi nel 1771, “l’arte di tacere (l’art de se taire), scrive di silenzio e del silenzio. E ci abitueremo al silenzio del nuovo Presidente del Consiglio, Mario Draghi, dopo il fragore del suo predecessore, Giuseppe Conte, soprattutto sui social network. I giornalisti politici che frequentano i palazzi del potere hanno già avvertito che l’aria che tira (per citare il titolo di una trasmissione de La 7 dove la politica viene incalzata) è completamente diversa. Al posto di Rocco Casalino, in questi giorni ovunque sui media per parlare del suo libro autobiografico “Il Portavoce” arriva una donna Paola Ansuini, targata Banca d’Italia. Adesso i retroscenisti che affollano Palazzo Chigi, adeguatamente distanziati, dovranno essere capaci di leggere i silenzi.
Come ha scritto giustamente Gianluca Comin su Formiche: “Per la prima volta a memoria di osservatori, l’assenza di qualsiasi anticipazione e gossip sui nomi e sul programma di governo è di per sé un argomento di discussione e di analisi, anche degli esperti. Uno stile-Draghi che, da un lato sta frustrando giornalisti, commentatori e leader politici che, per la prima volta, non hanno potuto esercitarsi con il negoziato su nomi e caselle, dall’altro ha già prodotto un dibattito tra gli esperti di comunicazione. Se in Italia, abituata ai rumorosi talk show e alla ridda di dichiarazioni, il silenzio come modalità di comunicazione politica è come uno shock del sistema, all’estero non è un atteggiamento nuovo, tanto da aver prodotto non pochi paper universitari di studio e analisi”.

E per noi italiani che siamo caciaroni, abituati alla violenza dei messaggi politici, ormai assuefatti ad una comunicazione politica che si rifugia negli slogan, urla, inveisce e contesta, il nuovo stile Draghi è davvero tutto da scoprire. Persino il tono di voce pacato ci ricorda quello del parroco che sa fare le prediche, che ti convince ma non ti stanca, anche se sei seduto su un banco in chiesa molto scomodo.
Comin insiste su questo: “il silenzio, o meglio la riservatezza, è la cifra della comunicazione dei banchieri centrali. Persino con un filo di snobismo, come il noto atteggiamento del fondatore di Mediobanca, Enrico Cuccia, noto per non aver mai rilasciato una intervista e per la sua capacità di attraversare nugoli di giornalisti senza proferire parola”.
Tutto questo avviene in un periodo, come spiega benissimo in articolo scientifico sulla rivista Comunicazione Politica, il professore di sociologia della Luiss, Michele Sorice, in cui è in atto un: “processo di piattaformizzazione della sfera pubblica attraverso i social media, per creare un’opinione pubblica verticale sebbene essa sia narrata come entità orizzontale. Non è un caso che proprio nella platform society vengano facilitati fenomeni di iperleaderismo e di emersione di forme di rappresentanza diretta”.

E così sembra un ricordo, anche se è passato pochissimo tempo l’incredibile dato totalizzato da Giuseppe Conte.
Dario Adamo, social media manager di Giuseppe Conte lo ha raccontato a Mashable: oltre un milione di like in meno di 24 ore. Oltre 2 milioni fra reazioni e commenti. Più di 5 milioni di interazioni e quasi 11 milioni di persone raggiunte.
“Fin dai primi post – racconta Adamo – abbiamo condiviso l’idea di una comunicazione che rispettasse il suo stile: sobrio, pulito, istituzionale, ma non per questo meno autentico o privo di emozioni. Da qui i post sulle sue attività pubbliche, i resoconti delle missioni ufficiali all’estero, ma anche i contenuti più “leggeri”, i commenti su fatti di cronaca e le note conferenze stampa in diretta streaming durante la fase più dura della pandemia.
Un lavoro costante, quotidiano, frutto di un confronto diretto tra di noi”.
Indubbiamente due modi diversi di comunicare. Draghi con i suoi silenzi e Conte con i suoi post. Due stili diversi. Totalmente. Ma non sono in gara: interpretano due modi diversi di vivere l’esperienza istituzionale in un’Italia disorientata e che spera in un futuro migliore.