Ultimi giorni prima che Draghi comunichi la sua volontà. Oggi è iniziato il secondo giro di consultazioni e più le ore passano più l’intero arco parlamentare, eccezion fatta per Fratelli d’Italia, sembra stringersi attorno all’ex Presidente della BCE.
Le forze fedeli a Draghi sin dal primo minuto, cioè PD, Liberi e Uguali, Forza Italia e i partiti minori, rimangono ferme sulle loro posizioni e confermano l’appoggio incondizionato al nuovo esecutivo. Diversa è invece la situazione nei due partiti più politicamente pesanti dell’attuale Parlamento: Movimento 5 Stelle e Lega.

I pentastellati si spaccano ad ogni giro di lancette. Partiti come compagine che avrebbe risposto “no” alla richiesta di fiducia di Draghi, hanno poi cambiato idea quando ad intervenire sono stati Conte e Grillo. Il primo, parlando da vero leader del Movimento, ha chiesto alla base di comprendere il momento di difficoltà e l’entrata in maggioranza, mentre Grillo, dopo un colloquio di due ore con il Premier incaricato, ha ricordato che “Mario Draghi è la soluzione migliore per questo paese, tra crisi sanitaria e crisi economica siamo sull’orlo del baratro, dobbiamo portare i nostri temi al tavolo di questo governo, vigilare sui soldi del Recovery fund”. Dalla parte opposta, Alessandro Di Battista guida la carica dei 5 Stelle ortodossi, quelli che ancora credono negli ideali delle origini. Su Facebook scrive “Io contrasto Draghi non sul piano personale, ma su quello politico. E, ripeto, non cambio idea. La mia scelta l’ho presa e vado fino in fondo”. Il motivo della scelta del leader, attualmente all’opposizione del suo stesso partito, è che l’assembramento parlamentare che si sta delineando sia l’antitesi della Politica.

In effetti, gli scenari che si aprono sarebbero stati inimmaginabili fino a poco tempo fa. All’attuale coalizione pro-Draghi sembra infatti aggiungersi una nuova pedina ingombrante e, in qualche modo, inaspettata. Matteo Salvini, uscendo dal colloquio con Draghi, ha dichiarato: “Non abbiamo posto condizioni, c’è una sensibilità comune”. Tradotto, il leader della Lega ha reso nota la sua disponibilità a far parte del nuovo esecutivo, anteponendo il famoso “bene dell’Italia”, citato come mantra da ogni capo politico, alle rispettive ambizioni di partito. Anche la posizione del Carroccio arriva dopo diverse giravolte e cambi di strategia. Dall’iniziale “no” e richiesta di elezioni, la Lega si è poi spostata su una linea di incertezza, ponendo come condizione per il suo ingresso in maggioranza l’esclusione dalla stessa dei 5 Stelle. Infine, dimostrandosi europeista come mai lo era stato (addirittura sulla questione migranti, dove ha detto di condividere la linea dell’UE), Salvini ha dato il suo definitivo via libera, cedendo il passo alla voce di Giorgetti. Domani incontrerà di nuovo Draghi per iniziare a parlare di temi e sembra evidente, considerate le ultime dichiarazioni, che sia disposto ad accettare grandi compromessi.
La mossa di Salvini, tra l’altro, non sorprende soltanto i suoi elettori, ma anche il PD. Sotto la guida di Nicola Zingaretti, il partito è sempre stato compatto nel sostenere il proprio appoggio all’economista voluto da Mattarella. Ora che però nel gruppo costituito per il “bene del Paese” sta per entrare la Lega, le cose per i democratici si complicano. Difficile sopportare un’azione di governo in cui rientrino anche i nemici di sempre, quella destra radicata nel Nord che sin dai primi anni è stata agli antipodi del pensiero di sinistra. Per alcune ore è circolata la notizia che, al passo avanti della Lega, ne seguisse uno indietro del Partito Democratico, intenzionato in maniera assoluta a non favorire alcun accordo con gli uomini guidati da Salvini. Si parlava di una retrocessione dei democratici, che avrebbero concesso a Draghi soltanto un appoggio esterno. L’indiscrezione è stata poi smentita dallo stesso leader del PD, ma le domande sul futuro che lo aspetta si moltiplicano.

A Draghi rimangono solo poche ore prima della scelta definitiva. È possibile che già giovedì salga al Quirinale per sciogliere la riserva. Lì, davanti a Mattarella, verrà deciso il destino dell’Italia. E qualunque cosa uscirà da quella stanza, sarà un esperimento dai risultati incerti.