Matteo Renzi è un mago della politica. Sia chiaro, questo non è un giudizio di merito. Mi riferisco alla sua capacità di “muoversi” tra gli intricati rami del potere. A livello concreto, non conta granchè (un 3% di consenso che di certo non accenna a salire), ma nonostante ciò, dall’inizio del governo Conte II, tiene in scacco la maggioranza. E oggi più che mai.
Negli ultimi giorni, Italia Viva ha infatti minacciato più volte di destabilizzare l’esecutivo. Lo ha fatto mettendo in discussione la squadra dei ministri, proponendo ciò che si definisce rimpasto e che alcuni chiamano “verifica”. Su questo, mi sento in dovere di fare un breve cenno storico. La “verifica” era una prassi tipica della Prima Repubblica. I governi, allora fondati sull’alleanza tra molti partiti, avevano di tanto in tanto la necessità di fare il punto sull’attuazione del programma e di valutare lo stato di salute della maggioranza. Così, i leader degli schieramenti si incontravano ed esaminavano la situazione.

Renzi prova a seguire le orme dei predecessori primorepubblicani e, per mettere ancora più carne al fuoco, pubblica su Facebook la lettera che lui stesso ha inviato a Conte poche ore fa. Il testo, lungo e articolato, è una fototessera perfetta del suo autore. Contiene molti spunti di riflessione, proposte e idee di un uomo che è nato come “rottamatore” della politica. In più, ovviamente, una dose abbondante di ego, che accompagna fedelmente ogni passaggio del post. Nulla di inaspettato. D’altronde, se così non fosse, non staremmo parlando di Renzi.
L’ex Premier inizia con il calore di un caro amico. “Caro Presidente, in questi giorni il racconto fatto dal Palazzo dice che ‘quelli di Italia Viva’ vogliono le poltrone. È il populismo applicato alla comunicazione. Ma è soprattutto una grande bugia. Perché in discussione sono le idee, non gli incarichi di governo. Teresa (Bellanova, Ministro dell’Agricoltura), Elena (Bonetti, Ministro per le pari opportunità) e Ivan (Scalfarotto, Sottosegretario di Stato al Ministero degli affari esteri) sono pronti a dimettersi domani, se serve”.
Da qui in poi, un susseguirsi di temi collegati l’uno all’altro. Renzi parla di infrastrutture, sanità, MES, scuola, riforma elettorale e Recovery Fund. Lo fa però con un tono che non si addice a un membro del governo. Leggendo la lettera, il primo pensiero è che sia stata scritta da un esponente inferocito dell’opposizione.
“Presidente – scrive Renzi – non importa essere keynesiani per capire che l’unica strada per crescere sono gli investimenti pubblici e privati. Perché non parte la Gronda a Genova? Siamo ancora vittime dell’ideologia di chi come Beppe Grillo voleva mandare l’esercito per bloccarla?”. Ricordo sommessamente, per usare un’espressione tanto cara a Giorgia Meloni, che al consiglio dei ministri, gomito a gomito con i ministri di Italia Viva, siedono i ministri 5 Stelle, partito che sull’ideologia di Grillo ci è nato e cresciuto.

Passa poi alla sanità, e di nuovo critica: “Come è possibile mettere solo nove miliardi sulla sanità?”. Segue una nota egoreferenziale (“In tre anni il mio Governo ha messo sette miliardi in più, senza pandemia: ancora oggi i Cinque Stelle definiscono “tagli” questo maggior investimento”). Si sposta poi sul MES e qui il contrasto ideologico con i pentastellati si fa evidente: “Qual è la ragione del nostro rifiuto? Come si può dire no agli investimenti sulla sanità, caro Presidente? Se siamo in emergenza e abbiamo il maggior numero di morti in Europa forse dobbiamo investire di più in Sanità, non credi? Questo rifiuto del MES mi appare ogni giorno più incomprensibile”.
Una rapido passaggio alla scuola, che secondo Renzi dovrebbe riaprire seguendo l’esempio di Francia e Germania, per arrivare infine sulla riforma elettorale: “Noi siamo per il maggioritario. Vogliamo sapere la sera delle elezioni chi governa. Vogliamo che governi per cinque anni. Vogliamo che abbia stabilità. Mettendo in campo – e qui, altra nota autoreferenziale – tutti i correttivi che servono, a cominciare dal superamento del Titolo V della Costituzione sul rapporto Stato Regioni che ha mostrato i limiti più evidenti proprio in questa pandemia”. Che coincidenza, proprio quello che voleva modificare lui con la riforma costituzionale del 2016 che ha messo fine al suo governo e che ancora sembra non aver assimilato.

Strizza infine più di un occhio agli Stati Uniti, invitando a “decidere insieme qual è il posto dell’Italia nel nuovo mondo dell’America di Biden” e giudicando Pete Buttigieg, il nuovo Segretario ai Trasporti dell’amministrazione democratica, “il più brillante politico della nuova generazione americana”. I rapporti di Renzi con gli States sono ottimi, soprattutto tra Chicago e San Francisco, dove molti sono i congressi e i corsi che ha tenuto nel corso degli anni. È giusto non dimenticare, inoltre, gli stretti contatti avuti con l’amministrazione Obama, dove Biden rivestiva il ruolo di vicepresidente. Insomma, c’è una vena americana in questo Renzi targato 2020. Chissà nel suo futuro non ci sia in programma un trasferimento in quella che rimane, nonostante tutto, la più grande democrazia del mondo.
Nel frattempo, però, rimane in Italia. Il suo colloquio con Conte dura poco più di mezz’ora e si conclude, come prevedibile, con un nulla di fatto. “Abbiamo rappresentato al premier le nostre argomentazioni – ha detto la Bellanova – ora aspettiamo che faccia una riflessione”. Tutto rinviato ai prossimi giorni, o forse già a domani. In questa complessa a partita a scacchi ora è il governo a doversi smarcare.