Rehoboth Beach è una cittadina molto elegante in Delaware sulla costa atlantica diventata famosa in questi giorni per avere tra i suoi ospiti Joe Biden. Qui il presidente eletto ha la sua casa al mare e qui sta trascorrendo il lungo weekend del Thanksgiving. E qui continua a preparare la sua squadra di governo. Da lunedì lui e la vicepresidente Kamala Harris riceveranno il rapporto quotidiano dei servizi di sicurezza. Quello sulla pandemia già lo ricevono da martedì scorso.
Da scegliere ancora i ministri di importanti dicasteri come quello della Giustizia, o quello della Difesa, e soprattutto quello della Sanità a cui verrà demandato il difficile compito di coordinare i vari gruppi di lavoro sul coronavirus. I 13 milioni di casi che ci sono negli Stati Uniti rendono imperativa questa lotta al covid-19 da parte di tutti perché fintanto che il virus non sarà sconfitto sarà impossibile avviare la ripresa economica.
Joe Biden lo ha sottolineato nel suo primo messaggio da presidente eletto fatto per la festa del Ringraziamento. “Questo è il momento in cui tutti insieme – ha detto – dobbiamo rafforzare gli sforzi per combattere e sconfiggere la pandemia”. E Biden è perfettamente cosciente che per vincere la lotta al coronavirus il Paese deve essere unito e quindi tende la mano ai repubblicani dopo questa tornata elettorale così polarizzata. “In America abbiamo elezioni libere, il risultato va rispettato – ha affermato – la nostra democrazia è stata messa a dura prova quest’anno, e quello che abbiamo imparato è questo: il popolo americano è all’altezza del compito, è all’altezza della situazione con la speranza che questa triste stagione di divisioni possa lasciare il passo alla luce e all’unità”.

Per ora i repubblicani non parlano. Anche loro, come Biden attendono il risultato delle prossime elezioni che il 5 gennaio si terranno in Georgia. In questo Stato si tornerà a votare con due ballottaggi per scegliere i due senatori che andranno a Capitol Hill. Alle elezioni del 3 novembre nessun candidato ha superato il 50 % dei voti. Necessari quindi i ballottaggi. Negli ultimi quattro anni i repubblicani hanno potuto varare la loro politica conservatrice facendo leva proprio sulla loro superiorità numerica al Senato. E questa supremazia tra poche settimane rischia di saltare. I due seggi della Georgia, se entrambi verranno conquistati dai democratici daranno il colpo finale al Gop che, dopo aver perso la Casa Bianca, rischia ora di perdere anche questa maggioranza.
Attualmente il Senato è composto da 52 repubblicani 46 democratici e due indipendenti che hanno sempre votato con i democratici. Perdendo i due seggi il Senato sarebbe composto da 48 democratici (+ due indipendenti) e 50 repubblicani. In caso di parità vota il presidente del Senato, carica che spetta al vicepresidente, in questo caso Kamala Harris. Per Biden, ma anche per i repubblicani, la posta è dunque altissima.
Da queste elezioni dipenderanno i voti che il Senato farà sulle scelte del presidente eletto per la formazione del suo gabinetto. Ed ecco che la Georgia diventa di vitale importanza. I repubblicani, però, hanno un problema in più da dover risolvere: le pesanti accuse lanciate dal presidente Trump all’amministrazione Statale della Georgia biasimata, ingiustamente, di aver avallato i brogli elettorali dei democratici. Il problema è che i brogli non ci sono stati.
I risultati elettorali sono stati certificati dal governatore repubblicano Brian Kemp e dal segretario di Stato repubblicano Raf Raffensperger. Ma c’è di più. Raffensperger ha denunciato nei giorni scorsi il senatore Lyndsey Graham, capo della Commissione Giustizia del Senato e stretto alleato del presidente Trump, di avergli telefonato suggerendogli di far scomparire i voti democratici mandati per posta. Immediate le smentite e le successive conferme della telefonata fatta dall’influente senatore. Ma questa vicenda ha disincantato l’elettorato repubblicano.
Trump, non contento del risultato elettorale, ha chiesto di ricontare i voti della Georgia per altre due volte, dopo che lo Stato e i voti elettorali sono stati conquistati da Biden. Il presidente continua a rifiutare il risultato e prosegue nella sua narrativa sui brogli e sulle congiure ma, nonostante i 38 ricorsi fatti nei tribunali degli Stati Uniti, tutti persi, perché il suo esercito di avvocati non ha portato una sola prova di questi brogli da lui denunciati. Paradossalmente dopo che Trump ha chiesto il riconteggio dei voti in Wisconsin sono stati assegnati a Biden 132 voti in più. Alla fine del nuovo scrutinio, il funzionario della contea di Milwaukee, George Christenson, ha dichiarato che “la riconta dimostra ciò che già sapevamo: che le elezioni nella nostra contea sono giuste, trasparenti, accurate e sicure”.

E questo dei brogli e delle congiure denunciate da Trump sta diventando sempre più problematico per il presidente. Il fondo creato dalla sua campagna elettorale “True The Vote” per scovare i presunti brogli elettorali, tra le tante donazioni ne ha ricevuta anche una da 2 milioni e mezzo di dollari da Fred Eshelman, un imprenditore della North Carolina. Ora Fred Eshelman ha citato in giudizio “True The Vote” che secondo l’atto presentato in tribunale, avrebbe chiesto i fondi, ben sapendo che i brogli elettorali non c’erano stati e che le decisioni emesse da 38 tribunali degli Stati Uniti ne sono la conferma. Eshelman si sente truffato e rivuole i soldi. “True Vote” ha patteggiato un rimborso da un milione di dollari, ma Eshelman lo ha respinto chiedendo la restituzione dell’intera donazione da lui fatta.
Lentamente le accuse cadono e Trump ha annunciato che se i Grandi Elettori nella riunione del 14 dicembre certificheranno la vittoria di Biden lascerà la Casa Bianca. Il presidente non riesce a digerire gli 80 milioni di voti (80.026.721) ricevuti dal suo rivale. Più di 8 milioni di quelli che lui ha ottenuto. Un record assoluto in una elezione presidenziale. Ma Trump non ci crede e continua a parlare di “elezioni truccate al 100%”.
Nella conferenza stampa il giorno dopo il Thanksgiving si arrabbia con i giornalisti quando gli domandano come faccia a denunciare brogli quando tutti i tribunali hanno respinto le sue sue non provate accuse. Se la prende con un giornalista della NBC che gli chiede se non si sente responsabile della drammatica situazione del coronavirus dopo aver ignorato e sminuito la gravità del virus. Si arrabbia di più quando un giornalista della Reuters gli chiede se non sia giunto il momento di accettare la sconfitta. Il presidente strilla un “non mi parlare con quel tono”, evidenziando come sia difficile per lui accettare che gli americani lo abbiano bocciato e che sarà uno dei pochi presidenti con un solo mandato. E non risponde alla domanda fattagli da un altro giornalista che gli chiede se sarà presente o meno alla cerimonia di giuramento di Biden. Chiude la conferenza stampa dicendo che la prossima settimana sarà in Georgia per sostenere i due candidati repubblicani che andranno al ballottaggio.
Ma questo del coronavirus continua ad essere la croce di questa amministrazione e una tragica eredità che lascia al presidente eletto. Venerdì si sono registrati oltre 2.400 morti in 24 ore, secondo i dati della Johns Hopkins University: il bilancio peggiore da più di sei mesi. Il Paese ha contemporaneamente registrato quasi 200.000 nuovi casi di Covid-19. L’ultima volta che il bilancio delle vittime ha superato le 2.400 in un giorno era stato all’inizio di maggio, all’apice della crisi sanitaria. A peggiorare la già difficile situazione della salute pubblica anche la controversa decisione della Corte Suprema di mercoledì scorso che, in barba a tutte le raccomandazioni sanitarie, ha cancellato le restrizioni imposte dal governatore di New York, Andrew Cuomo, sul numero delle persone nei luoghi di culto. Una limitazione imposta per contenere i contagi del coronavirus. Un giudizio deplorato dalla comunità scientifica. La controversa decisione dimostra il peso della nuova giudice ultracattolica Amy Coney Barnett, nominata da Donald Trump in sostituzione della scomparsa Ruth Bader Ginsburg, che evidenzia come ancora oggi religione e scienza continuino a non andare d’accordo.