Non erano un milione, ma decine di migliaia si. La marcia avvenuta ieri a Washington DC ha riunito una moltitudine di fan del Presidente: dai temutissimi suprematisti bianchi dei Proud Boys agli operai del Midwest, dal gruppo paramilitare di estrema destra dei Three Percenters agli anziani con il bastone e il cappellino Make America Great Again. Al centro della manifestazione, a riunire queste personalità e vite agli antitesi, c’è la rabbia e l’indignazione per un elezione che la gran parte delle persone presenti ieri giudicano truccata. L’obbiettivo? Far vedere al popolo “radical chic” delle grandi metropoli che il movimento Pro Trump è vivo e vegeto, e non si fermerà certo con la sconfitta avvenuta in questa tornata elettorale. A rimarcare l’importanza simbolica di questa Million Maga March ci ha pensato Donald Trump in persona, che in tragitto verso il suo golf club privato in Virginia è passato con la sua auto blindata attraverso la folla estasiata, salutando e sorridendo dal finestrino.

A una settimana esatta dall’annuncio della vittoria di Joe Biden da parte delle più grandi emittenti televisive, Donald Trump non ha ancora concesso l’elezione, anzi, ha avviato ben 16 cause legali in 5 stati chiave per ribaltarne l’esito. Si tratta di Michigan, Pennsylvania, Arizona, Georgia, e Wisconsin; tutti stati che Trump vinse nel 2016 e che avrebbe dovuto vincere di nuovo quest’anno per garantirsi altri quattro anni alla Casa Bianca. Al momento, queste cause legali sono state un fallimento, risultando in due sconfitte nelle corti del Michigan e Pennsylvania, e una ritirata nello stato dell’Arizona. Le accuse sono per lo più procedurali, dal modo in cui si è svolto il conteggio delle schede elettorali al modo in cui si è svolta la verifica dei voti giunti per posta. Ma queste accuse, ammesso e non concesso che siano vere, rischiano di squalificare poche schede elettorali e dunque di smuovere pochi voti a favore di Trump. Manca insomma quella che gli americani chiamerebbero “smoking gun”, la famosa pistola fumante che potrebbe realmente sconvolgere il paese e cambiare l’esito di queste elezioni.

Alcune voci conservatrici sostengono che la pistola fumante ci sia, e che vada ritrovata nel Dominion Voting Systems: il software utilizzato in oltre 30 stati per scansionare le schede elettorali e tabulare i voti. In una contea del Michigan, questo software è stato vittima di un glitch che ha spostato 6 mila voti per Trump nella colonna di Joe Biden. In questo caso specifico, quei 6 mila voti furono abbastanza per ribaltare il vincitore della contea da Trump a Biden. Una volta scoperto il glitch, sono stati immediatamente aggiornati i risultati e la contea è giustamente tornata a Trump, ma questo piccolo errore ha fatto si che si avviasse una vera e propria inchiesta popolare su questo fornitore di tecnologia per scopi elettorali. Sono nate varie teorie del complotto sulla connessione tra Dominion Voting Systems e Smartmatic – l’azienda responsabile nel fornire la macchine per la scansione delle schede elettorali – che alcuni ritengono sia controllata non che meno che da George Soros. A buttare benzina sul fuoco ci ha pensato direttamente l’avvocato privato del Presidente Rudy Giuliani, che attraverso un tweet ha chiesto al suo milione di seguaci di ricercare le origini di Smartmatic e Dominion, promettendo che presto “tutto verrà fuori”.

Le lancette però scorrono veloci. Entro l’8 Dicembre infatti, ogni stato dovrà aver certificato i propri risultati e aver concluso qualsiasi riconteggio. Il 14 Dicembre i membri del collegio elettorale sono chiamati nelle capitali di ogni stato per votare ufficialmente il prossimo Presidente degli Stati Uniti. Il 6 gennaio la Camera e il Senato si riuniscono per contare i voti del collegio elettorale, e il 20 Gennaio il nuovo Presidente viene eletto. Rudy Giuliani e il suo team legale hanno dunque poco meno di un mese per produrre delle prove concrete. Se dovessero fallire, rimane un’ultima possibilità per Donald Trump.

La costituzione americana assegna il “più ampio potere di determinazione” alle legislature dei singoli stati nel nominare i membri del collegio elettorale. Se Trump riuscisse a convincere le legislature di alcuni stati chiave a nominare più membri favorevoli a lui rispetto a Joe Biden, fregandosene della volontà popolare, potrebbe ancora riuscire ad ottenere una maggioranza il 6 gennaio. A quel punto non ci sarebbe alcun modo per Joe Biden di contestare, dato che la decisione del collegio elettorale è protetta dalla costituzione. Una situazione decisamente ai limiti del surreale ma conoscendo Donald Trump non appare troppo al di fuori del ventaglio di possibilità che lui e il suo team si stanno preparando a cavalcare.